
C'è un aspetto perfidamente istruttivo nel modo in cui ieri gran parte della stampa nazionale che simpatizza per la sinistra ha trattato o meglio, evitato di trattare la promozione dell'Italia da parte dell'agenzia Fitch.
Una notizia senza dubbio di grande rilievo, che restituisce al Paese un rating (BBB+) perduto nove anni fa, è stata accolta con una scrollata di spalle o poco più. Nessun titolo a otto colonne, nessun commento approfondito. Soltanto qualche articoletto frettoloso e addirittura, nel caso del Corriere della Sera, nemmeno un richiamo in prima pagina.
Siamo di fronte all'ennesima dimostrazione che la narrazione viene prima dei fatti. E quando i fatti disturbano il racconto precotto quello di un'Italia allo sbando, governata da dilettanti, in rotta con i mercati allora si preferisce rimuoverli, archiviarli, fingere che non siano mai accaduti.
Ma la promozione di Fitch è tutto fuorché un dettaglio. È un segnale inequivocabile lanciato ai mercati: l'Italia è stabile, credibile, capace di gestire il proprio debito anche in un contesto di forti pressioni esterne. E l'agenzia lo scrive nero su bianco: "La disciplina fiscale e la solidità del sistema economico stanno dando risultati concreti". Tradotto: il governo, piaccia o meno, sta centrando obiettivi dove i governi di sinistra o a cinque stelle per anni hanno fallito.
Questo dovrebbe generare dibattito, riflessione, persino autocritica. Invece no. La reazione prevalente è di fastidio. Perché la notizia manda in crisi un intero impianto ideologico che da mesi se non da anni lavora per dipingere l'attuale esecutivo come un incidente della storia, un'anomalia temporanea destinata al naufragio.
Immaginate, per un istante, lo scenario opposto. Se Fitch avesse tagliato il rating dell'Italia, oggi saremmo travolti da editoriali apocalittici: "L'Italia declassata: colpa di Meloni", "Mercati in fuga", "Allarme rosso sui conti pubblici". Gli stessi quotidiani che oggi fanno spallucce avrebbero spalancato la prima pagina, scomodato tecnocrati e finti esperti, invocato il ritorno della Troika. E lo avrebbero fatto con la consueta saccenza di chi confonde l'analisi con il livore.
Invece, Fitch ha promosso. E questo rappresenta un durissimo colpo al pregiudizio di fondo secondo cui solo i governi "responsabili", cioè quelli di sinistra o a trazione tecnocratica, sono in grado di mantenere i conti pubblici in ordine. Una narrazione che resiste alla realtà, anche quando questa la smentisce clamorosamente.
Eppure, i numeri sono lì. La crescita tiene, l'occupazione è più solida, il saldo primario è in miglioramento, il debito non esplode e il costo medio scende sensibilmente. Tutti indicatori che hanno spinto Fitch a rivedere la propria posizione. Non per simpatia politica, ma sulla base di dati macroeconomici che certi commentatori preferiscono ignorare, quando non distorcere.
Perché? Perché l'ossessione è politica, non economica. E perché in questa fase storica una parte rilevante del sistema informativo si comporta come un partito d'opposizione più che come un osservatore indipendente. Un partito del "tanto peggio, tanto meglio", che scommette sul fallimento del governo, anche a costo di sperarlo.
Ma la realtà, si sa, ha una sua pericolosa testardaggine. E prima o poi presenta il conto. Questa promozione non è un traguardo, certo. Ma è un fatto. E proprio per questo, non può essere ignorato senza che si manifesti una crisi ben più profonda: quella della credibilità di un sistema mediatico che ha perso il senso del proprio ruolo. Informare, raccontare, spiegare. Non tifare.
È legittimo non amare questo governo. È legittimo criticarlo. Ci mancherebbe.
Ma non è legittimo falsificare la realtà o passarla sotto silenzio quando non si adatta ai propri desideri. Perché in quel momento, il giornalismo smette di essere servizio pubblico e diventa semplicemente propaganda travestita da cronaca.