
Ricomincio da 268. Il ristorante Del Cambio di Torino, nella storica piazza Carignano, festeggia un compleanno impegnativo ancorché non tondo (è nato il 5 ottobre del 1757 come caffè, diventando presto un punto di riferimento nella città allora capitale del Regno di Sardegna) e lo fa presentando il menu autunnale di Diego Giglio, colui che ha preso il posto di Matteo Baronetto, lo chef che ha contrassegnato l’ultima gloriosa fase della vita di questo locale, rinato nel 2013 con un importante lavoro di restauro. Baronetto ha lasciato Del Cambio qualche mese fa, dopo aver portato il locale di piazza Carignano alla stella e Giglio, che ne è stato a lungo il sous chef, sta dando continuità al suo lavoro, cercando nel contempo di imporre anche un suo stile personale.
Ma della cucina parlerò dopo. Vale la pena raccontare qualcosa di questo posto speciale, anche se per farlo bene ci vorrebbe un libro e non uno striminzito articolo. Del Cambio è un luogo senza tempo anche se vive nella contemporaneità e nel continuo dialogo tra passato e futuro. Oggi è composto fondamentalmente da tre anime. Il Ristorante del Cambio vero e proprio, la Farmacia del Cambio, boutique gastronomica rinomata per la sua produzione di lievitati, e il Bar Cavour, un cocktail bar in stile internazionale, che ha il suo cuore nella Stanza Verde, un fumoir dall’aria piacevolmente equivoca.
Il ristorante è a suo volto diviso in spazi differenti: la Sala Risorgimento è la più blasonata, qui Camillo Benso conte di Cavour aveva il suo tavolo, prediletto perché poteva intravedere la finestra del suo studio, nel caso il suo segretario avesse voluto richiamare la sua attenzione sventolando un fazzoletto. Questo spazio è stato accuratamente riportato allo splendore antico con il restauro del 2013 che ha seguito criteri di assoluta fedeltà storica anche nella scelta dei materiali, dal marmo bianco di Prali al legno della boiserie con doratura a foglia d’oro. Un’altra sala è invece contrassegnata da una potente opera di Michelangelo Pistoletto, una serie di otto lastre di metallo lavorate a specchio che raffigurano una folla di persone in grandezza reale colti in momenti della vita quotidiana mentre guardano tutti un punto lontano, dove sembra che stia accadendo qualcosa di più interessante della cena. Una riflessione a tratti anche disturbante che mette in contatto i commensali con l’opera stessa, facendoli sembrare al contempo parte di essa ed estranei. A molti piace, ad altri no, ma l’effetto è comunque poderoso. Nel locale ci sono anche altre opere di artisti contemporanei come Izhar Patkin, Marino Gamper, Pablo Bronstein e Arturo Herrera.
E veniamo alla cena. L’impegno principale di Giglio (classe 1979) mi sembra chiaramente quello di far dialogare la nobile tradizione gastronomica piemontese con ispirazioni più contemporanee, rinunciando alle spinte innovative di Baronetto, che alle volte in passato è sembrato bisognoso di un contesto meno classicista come ambientazione della sua ricerca. Il menu degustazione da me assaggiato nel corso della “festa di compleanno” è però estremamente attuale nello Zeitgeist che dovunque sembra premiare una cucina meno avanguardista e più rassicurante, a patto che sia interpretata con tecnica e rigore come Giglio sa indubbiamente fare.
L’apertura è affidata al Gran Antipasto Piemontese, una successione di piattini: una Gaufre con crema di robiola e una riduzione di bagnetto rosso, Acciughe al verde marinate in aceto di riso con lattughino e polvere di prezzemolo, Vol au vent di salsiccia e nocciola, una Frittatina di erba cipollina e caviale, del Vitello tonnato in doppia versione (con e senza maionese), Ostriche gratinate con pane alle erbe e riduzione di salsa di pollo e limone, una Steak tartare che valorizza il servizio al tavolo vecchio stile.
Poi le portate principali: una Lingua alla persillade con salsa verde e concassé di lardo in carpione, una “Minestra di riso” che in realtà è un risotto ai funghi di stagione ma per il quale è stato adottato il nome storico (il piatto certamente più goloso della serata) e un notevole Piccione alla Marengo con coscetta farcita di foie gras e tartufo nero. Finale dolce con il leggendario Bonet del Cambio, cotto al vapore e con la caratteristica dell’olio nocciola estratto al freddo che dona grassezza e aromaticità. Quindi alcune piccole delizie dolci.
Merita attenzione la proposta dei vini (per me due etichette di Champagne, l’Uniterre Millésimé 2020 Extra Brut di Oudiette x filles e il Jour 3 Millésimé 2020 Extra Brut di Odyssée 319, il Barolo Vigna Rionda 2021 Ester Canale Rosso di Giovanni Rosso e il Moscato Passito La Bella Estate 2023 di Vite Colte, oltre che un Cordiale ai fiori di Sakura a metà pasto preparato da Marco Torre, bartender del Bar Cavour), pescati da una cantina bellissima, 14 metri sotto terra, che vale la pena visitare (provateci) e che conta 6mila etichette e 16mila bottiglie.
Infine le persone, tutte meritevoli di menzione: la sala è diretta dal restaurant manager Fabio Furci, la cantina da Mirko Galasso, la pastry chef del Cambio e della Farmacia
è la brava Giorgia Mazzuferi, il sous chef è Francesco Rovai.Del Cambio si trova al numero 2 di piazza Carignano a Torino. E’ aperto la sera dal martedì al sabato e a pranzo da venerdì a domenica. Chiuso l’intero lunedì.