La cucina italiana è sempre più vicina al riconoscimento di patrimonio immateriale dell'umanità. L'Unesco deciderà il 10 dicembre nel comitato intergovernativo che si svolgerà a Nuova Delhi in Indiam ma ieri un altro passo avanti è stato fatto: ieri l'organizzazione dell'Onu ha espresso il suo parere tecnico sul dossier che irrobustisce le ambizioni italiane, decisamente positivo: l'iscrizione della cucina italiana nella lista dei patrimoni culturali immateriali dell'umanità è caldamente consigliata.
Naturalmente si tratta di un parere puramente politico, mentre la decisione finale avrà risvolti puramente politici che potrebbero influire sulla decisione finale. «Questo primo sì non deve creare illusioni - osserva Pier Luigi Petrillo, professore alla Luiss Guido Carli e curatore del dossier di candidatura - perché il comitato intergovernativo che si riunirà in India a dicembre ha la possibilità di rivedere completamente la decisione». La cucina italiana è però tra le più amate del mondo (per qualcuno la più amata in assoluto) e non si vede chi potrebbe ostacolarne la consacrazione. Che ne farebbe la prima al mondo a ottenere il riconoscimento nel suo complesso. Altre cucine mondiali sono infatti già nella lista ma tutte per una tecnica, un prodotto, una tradizione, una cultura particolare: vero che dal 2010 nella lista figura la gastronomia francesce, ma intesa come «pasto festivo» come occasione per «celebrare nascite, matrimoni, compleanni, anniversari» e che «rispetta una struttura fissa così come un repertorio di ricette definito». Ci sono poi il kimchi coreano, il vino georgiano, il caffè turco, la birra belga, il cibo di strada di Singapore, l'harissa tunisina e decine di altre voci alimentari, e tra esse anche l'arte del pizzaiolo napoletano e la dieta mediterranea, che in fondo è stata elaborata in Italia da un fisiologo americano.
Un riconoscimento importante anche se più che altro simbolico. Molti chef sono convinti che sarebbe meglio una politica governativa di sostegno legislativo ed economico alla ristorazione e ai testimoni delle eccellenze gastronomiche italiane, come accade ad esempio nella vicina Francia, soprattutto in un momento in cui, come segnalavano a Roma nel corso della presentazione della guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso, «in Italia si mangia bene come non si è mai mangiato».
Ed è questo anche il pensiero di Davide Oldani, chef bistellato del D'O di Cornaredo, intercettato ieri in un convegno a Palermo: «Non è che abbiamo bisogno di una medaglia in più, ma se arriverà l'ingresso nella lista del patrimonio immateriale mondiale, questo farà parte della storia italiana e ci permetterà, agli occhi del mondo, di far capire bene che siamo una unica cultura enogastronomica. Io dico solo che adesso dobbiamo proiettarci a parlare d'Italia, in un condominio dove siamo e lavoriamo che è l'Europa».