
SiO2-CaO-Na2-O-K2OBaO. Un bell’attacco per un articolo. Perdonateci: trattasi del biossido di silicio miscelato ad altri elementi come il carbonato di calcio e il carbonato di sodio. Una formula chimica a cui tutti i seguaci di Bacco dovrebbero accendere un cero perché è quella del vetro da bicchiere, il migliore amico del vino.
Una formula che è stampata bella in grande nella fabbrica tirolese della Riedel, azienda leader nella produzione di uno strumento che chi beve tende a dare per scontato, salvo accorgersi con un po’ di attenzione, che no, non è proprio la stessa cosa bere un Cabernet Sauvignon o uno Champagne dallo stesso contenitore. Riedel ha fatto di questa formula (il bicchiere universale non esiste) una sua forza produttiva. A Kufstein si produce un calice per ogni vino. «La sfida più grande per noi - spiega Stefano Canello, vicepresidente sales and marketing per l’Europa del Sud e dell’Est è far capire ai ristoratori che avere un bicchiere per ogni vino fa vendere più vino. Perché se servi un Riesling nel calice perfetto il vino è più buono e la bottiglia finisce prima».
La storia di Riedel si intreccia con quella di due Paesi. L’azienda nasce piccola piccola nel 1756 nel nord della Boemia per commerciare vetro, ma generazione dopo generazione evolve fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando avviene la svolta, in circostanze drammatiche: il neonato governo cecoslovacco
confisca gli stabilimenti boemi e la famiglia perde tutto. Claus J. Riedel, esponente della nona generazione, si sposta in Tirolo, fa rinascere la fabbrica con l’auto della Swarovsky e si concentra soprattutto sui bicchieri da vino, con un’intuizione rivoluzionaria: la forma del vino influenza pesantemente la percezione di un vino. Riedel con la collezione Sommeliers inizia a produrne di forme, altezze e dimensioni differenti in funzione delle caratteristiche del vino da degustare. L’estetica così diventa funzionale all’efficienza, i bicchieri diventano sempre più minimali. Meno è più, è questa l’essenza del design, bellezza.
Visitare la fabbrica di Kufstein è come entrare in una favola. Una favola molto calda perché il cuore dell’azienda è uno spazio quasi teatrale in cui alcune fornaci fiammeggiano a ciclo continuo decine di uomini lavorano sudando in gruppi da cinque con una trafila di gesti bianchi assai scenografici: c’è chi pesca l’esatta quantità di magma siliceo da quel magnifico inferno, chi soffia dentro una lunga cannula per dargli la forma del bevante, chi prepara con un’altra dose di massa incandescente lo stelo e la base. Un lavoro di squadra in cui l’affiatamento è talmente fatidico e la singola competenza talmente insostituibile che quando uno ha l’influenza tutta la squadra finisce in malattia. Michelangelo, del resto, non si sostituisce.
Oggi l’azienda è guidata da Maximilian J. Riedel, undicesima generazione, che ha creato un suo stile coinvolgente e didattico di promozione della sua attività, che passa anche attraverso divertenti video postati sul suo
RIVOLUZIONE DI VETRO Maximilian J. Riedel con alcuni bicchieri della linea Performance, una delle tante prodotte dall’azienda omonima, di cui è ceo. Alcune sono prodotte in serie, altre con procedure artigianali
account Instagram nei quali può accadere che Max stappi bottiglie leggendarie conservate nella sua cantina e spieghi in modo spiritoso e avvincente come servirle correttamente. Fino a tre milioni di visualizzazione, anche qui vince l’efficienza. Numeri che per gli account social del vino sono del tutto sconosciuti. Maximilian ha anche proseguito sulla strada dell’innovazione di prodotto, inventando la linea O composta da bicchieri da vino senza stelo e incoraggiando la produzione di decanter di design dalle forme oniriche.
Ah, ogni prodotto Riedel viene studiato lungamente e testato con l’ausilio di tecnici, enologi, sommelier, critici. Sarà per questo che il bicchiere di Riedel è sempre mezzo pieno?
7 mln