
La Cina sta rafforzando il proprio arsenale nucleare più velocemente di qualsiasi altro Paese. Secondo le stime dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), Pechino possiederebbe almeno 600 testate nucleari, in aumento di circa 100 unità all'anno dal 2023 ad oggi, mentre il numero controllato da altri Stati nucleari sarebbe rimasto relativamente stabile. Hans Kristensen, ricercatore del Programma sulle armi di distruzione di massa del SIPRI, e direttore del Nuclear Information Project presso la Federation of American Scientists, è stato chiaro: "Assistiamo a un'importante modernizzazione nell'industria delle armi nucleari, nelle fabbriche, sia negli impianti di riprocessamento che in quelli di simulazione utilizzati per controllare le armi, certificarle e potenzialmente svilupparne di nuove".
Cosa succede in Cina
Al ritmo attuale di crescita, la Cina potrebbe avere 1.500 testate nucleari entro il 2035. Si tratta di un numero quasi pari a quello che Russia e Stati Uniti hanno attualmente a disposizione, pronte per l'uso con breve preavviso. Certo, le scorte totali di armi di Mosca e Washington, che includono sia armi pronte all'uso che testate dismesse, al momento sono molto più grandi rispetto a quelle di Pechino. Il Cremlino avrebbe a disposizione 5.459 testate, mentre gli Usa 5.177; questi due Paesi, insieme, detengono circa il 90% delle scorte globali.
Il Guardian ha comunque fatto notare che Xi Jinping, l'attuale leader cinese, ha ampliato l'arsenale nucleare del Paese più velocemente di qualsiasi altro suo predecessore. Centinaia di impianti per missili balistici intercontinentali (ICBM) e missili a lungo raggio utilizzati per il trasporto di armi nucleari vengono costruiti nelle zone desertiche della Cina settentrionale, così come altre aree montuose nella Cina orientale ospitano silos per missili balistici intercontinentali.
Corsa al riarmo (nucleare)
Il percorso intrapreso dalla Cina ha suscitato preoccupazione in altri Paesi, soprattutto negli Stati Uniti. Donald Trump, per esempio, fin dal suo primo mandato ha più volte insistito nel coinvolgere (senza successo) Pechino nei colloqui sulla riduzione delle armi nucleari, che tradizionalmente si svolgevano tra Usa e Russia. Guo Jiakun, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha rifiutato di commentare il report di SIPRI. "La Cina ha sempre aderito alla strategia nucleare di autodifesa, ha sempre mantenuto le sue forze nucleari al livello minimo richiesto per la sicurezza nazionale e non ha partecipato a una corsa agli armamenti", ha tuttavia aggiunto l'alto funzionario cinese. Guo ha inoltre affermato che la Cina è unica con la sua "politica di non usare armi nucleari per prima, in nessun momento e in nessuna circostanza, e promette incondizionatamente di non usare o minacciare di usare armi nucleari contro stati non dotati di armi nucleari e zone libere da armi nucleari".
Secondo quanto affermato dal SIPRI nella sua ultima valutazione annuale sullo stato degli armamenti, del disarmo e della sicurezza internazionale, anche l'India sembrerebbe impegnarsi maggiormente nello sviluppo di armi a lungo raggio in grado di raggiungere obiettivi in tutta la Cina. E ancora: nel paper si legge che il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha aumentato le preoccupazioni per gli impegni di sicurezza di Washington nei confronti degli alleati asiatici, come Giappone e Corea del Sud, che non a caso hanno iniziato a parlare di deterrenza nucleare.
Kristensen ha inoltre sottolineato che l'era della riduzione del numero di armi nucleari, che durava dalla fine della Guerra Fredda, sta giungendo al termine. "Al contrario, osserviamo una tendenza costante: il numero di armi nucleari per uso militare sta di nuovo aumentando", ha concluso l'analista.