Disabile maltrattato sul web Google rischia il processo

da Bergamo

Dopo decine di interrogatori, dopo avere controllato alibi e incrociato testimonianze, le indagini sull’omicidio di Mariagrazia Pezzoli ripartono dalle macchie di sangue e dalle numerose tracce rimaste al pianterreno dell’abitazione di Vertova, in val Seriana, dove un omicida ancora senza nome si è accanito contro la vittima colpendola ripetutamente con un coltello alla gola e al corpo. La vittima è stata infatti sgozzata e poi raggiunta da una decina di fendenti al petto. Una ferocia che farebbe pensare alla vendetta come movente, a una vera e propria furia omicida, mentre l’ipotesi del furto sfociato in assassinio è finita in secondo piano dal momento che in casa non mancherebbe nulla. Ancora più difficile ipotizzare che sia entrato in azione un killer prezzolato, visto che nessun professionista del crimine si lascerebbe alle spalle una tale mole di tracce.
I prelievi ematici sono stati trasmessi al Ris di Parma e oggi sarà effettuata l’autopsia sulla casalinga di quarantacinque anni, sposata da 25, senza figli e impegnata nella Commissione Servizi sociali del comune, che affiancava il marito Giuseppe Bernini - lui è assessore comunale allo Sport - nella gestione di un’azienda edile con una quarantina di addetti, finita in cattive acque qualche anno fa e risorta con l’attuale nome di ValCop Sas. Proprio per una transazione relativa ai beni della vecchia azienda, che sarebbero stati intestati alla moglie, i coniugi avevano un appuntamento dal notaio nel pomeriggio dell’altro ieri, poche ore dopo l’omicidio che sarebbe stato commesso intorno alle 13. Rientrato in anticipo dal lavoro dopo essere stato in provincia di Milano, Bernini ha trovato il corpo della moglie alle 15.30 in uno ufficio, che era anche magazzino, al pianterreno dell’abitazione di via Cinque Martiri 65. Una finestra era stata rotta dall’esterno, probabilmente dall’assassino, del quale sono rimaste tracce di sangue sia sul vetro che sul marciapiedi esterno e sul pavimento di casa. A terra anche un’agenda con dei documenti, forse scagliata dalla vittima in un tentativo di difendersi, forse caduta durante la colluttazione.
Stando alla ricostruzione effettuata dagli investigatori, prima del delitto la 45enne si trovava in cucina e potrebbe essere stata attirata dal rumore del vetro infranto: quando si è trovata a tu per tu con l’assassino, forse ha sottovalutato la gravità delle circostanze, oppure ne ha scatenato involontariamente la furia dell’omicida.
Dalle testimonianze dei vicini, è emersa la presenza di uno straniero di colore nei pressi della casa e intorno all’ora di pranzo ma si trattava di un fattorino addetto elle consegne rapide per conto di un’agenzia postale. La pista indicata dal marito, imboccata con decisione nelle prime ore, è quella di una rapina sfociata nel sangue, messa a segno magari da uno dei dipendenti licenziati in passato. Anche in questo caso, i carabinieri hanno rintracciato quattro dei cinque senegalesi sospetti, rilasciandoli però subito dopo l’interrogatorio, mentre il quinto straniero sarebbe tornato in patria da tempo. In tutto ieri sono state ascoltate una ventina di persone.
Passati al setaccio anche i movimenti di Giuseppe Bernini, che nelle ore precedenti il delitto si trovava a Meda con alcuni clienti. Lui avrebbe dunque una alibi di ferro.

Adesso in procura a Bergamo è in corso il secondo round di interrogatori, aspettando risposte certe dai rilievi scientifici. Con il Dna in mano, gli inquirenti avranno anche nuovi elementi in grado di fare luce su quello che oggi sembra un rompicapo.

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