Nessun tariffa sull'oro e tregua di 90 giorni sui dazi alla Cina: il piano di Trump sulla guerra commerciale

La guerra commerciale si ferma per altri tre mesi, ma le tensioni continuano a minacciare catene di approvvigionamento, investimenti e stabilità dei mercati globali

Nessun tariffa sull'oro e tregua di 90 giorni sui dazi alla Cina: il piano di Trump sulla guerra commerciale
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Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per estendere di ulteriori 90 giorni la sospensione delle tariffe commerciali verso la Cina, secondo quanto riferito da fonti della Casa Bianca a CNBC. La decisione arriva alla vigilia della scadenza dell’armistizio annunciato ad aprile, lasciando mercati e investitori in attesa di capire le mosse successive dell’amministrazione.

Con la Cina vedremo cosa succede. Abbiamo rapporti molto buoni. Stanno pagando tariffe doganali enormi all’America”, ha dichiarato Trump, evitando di fornire ulteriori dettagli. Sul tavolo resta anche la questione agricola. “La Cina è preoccupata per la carenza di soia. Spero che quadruplichino gli ordini: è un modo per ridurre il deficit commerciale con gli Stati Uniti”, ha scritto su Truth, alzando la posta nei negoziati. La Cina spera che gli Stati Uniti si "impegnino" per raggiungere risultati commerciali "positivi", in vista della scadenza - domani - della tregua siglata tra i due paesi a luglio. "Ci auguriamo che gli Stati Uniti collaborino con la Cina per mantenere l'importante consenso raggiunto durante la conversazione telefonica tra i due capi di Stato... e si impegnino per raggiungere risultati positivi sulla base di uguaglianza, rispetto reciproco e reciproco vantaggio", aveva dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri Lin Jian in una nota.

Le tensioni commerciali con Pechino si intrecciano con le dinamiche geopolitiche legate alla guerra in Ucraina. La Cina, come l’India, continua ad acquistare petrolio dalla Russia, e Washington vorrebbe imporre un freno. La Casa Bianca ha già applicato tariffe del 25% su New Delhi per gli acquisti di greggio russo e, secondo il vicepresidente JD Vance, non esclude un provvedimento analogo contro Pechino, pur riconoscendo che “il caso della Cina è più complesso di quello indiano”.

Parallelamente, Trump ha raggiunto un accordo con i colossi dei semiconduttori Nvidia e AMD, autorizzandoli a esportare in Cina alcuni chip per l’intelligenza artificiale, a condizione che versino al governo statunitense il 15% dei ricavi generati dalle vendite dei modelli H20 e MI308. “Avrei voluto il 20%”, ha commentato Trump, definendo l’H20 “obsoleto” rispetto ai chip prodotti negli Stati Uniti, e lasciando intendere che ulteriori negoziati potrebbero riguardare anche il nuovo modello Blackwell.

Dazi punitivi sulle esportazioni cinesi dirette negli Stati Uniti rischierebbero di mettere seriamente in difficoltà Pechino, proprio mentre la seconda economia mondiale sta ancora cercando di riprendersi dalla lunga crisi del settore immobiliare. Gli strascichi della pandemia di Covid-19 hanno lasciato milioni di persone costrette a vivere di lavori temporanei, bloccando la ripresa del mercato occupazionale. L’aumento delle tariffe doganali sui piccoli pacchi provenienti dalla Cina ha colpito duramente soprattutto le piccole manifatture, spingendo verso l’alto il numero dei licenziamenti.

Washington, tuttavia, continua a dipendere in modo significativo dalle importazioni cinesi, che spaziano dagli articoli per la casa e l’abbigliamento alle turbine eoliche, dai chip informatici di base alle batterie per auto elettriche e alle terre rare indispensabili per produrle. Questo conferisce a Pechino un notevole potere negoziale. Anche con tariffe più alte, infatti, la Cina mantiene un vantaggio competitivo in diversi settori, mentre a Washington si è consapevoli che l’economia statunitense sta solo ora iniziando ad avvertire gli effetti dell’inflazione innescata dagli ampi aumenti tariffari imposti da Trump.

Dopo un colloquio telefonico con Xi Jinping lo scorso giugno, Trump ha dichiarato di voler incontrare il presidente cinese entro la fine dell’anno — un obiettivo che potrebbe incentivare un’intesa tra le parti. Ma se la tregua commerciale dovesse saltare, le tensioni potrebbero intensificarsi fino a livelli record, infliggendo ulteriori danni a entrambe le economie e destabilizzando i mercati internazionali.

Aziende e investitori resterebbero alla finestra, frenando nuove assunzioni e piani industriali, mentre l’inflazione rischierebbe di impennarsi. Come ha evidenziato un’analisi di Oxford Economics, il settore privato è già entrato in una “prolungata fase di attesa”.

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