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Ecco perché le nostre pensioni sono davvero in pericolo

La nuova clausola sul pil per evitare i possibili tagli delle pensioni derivanti dal crollo del pil rischia lo slittamento

Ecco perché le nostre pensioni sono davvero in pericolo

Soltanto pochi giorni fa, in un intenso confronto con i sindacati, il governo giallorosso si era impegnato a trovare soluzioni per evitare i possibili tagli delle pensioni derivanti da ulteriori cali del prodotto interno lordo (pil, tra l'altro, messo a durissima prova dall'emergenza provocata dalla pandemia di Covid).

Slitta il piano Catalfo

Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, era arrivata perfino ad annunciare una proposta di legge per sterilizzare gli effetti di possibili cadute del pil sugli assegni pensionistici. Già, perché se il pil sale, anche gli assegni pensionistici salgono; ma se l'economia va a rotoli anche il valore delle pensioni si adegueranno, andando incontro a cali e svalutazioni. A questo proposito, per salvare i pensionati dalla possibile tempesta perfetta, si era parlato di un coefficiente di capitalizzazione del montante, utile per quantificare le pensioni, pari a uno in caso di pil negativo (salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive).

Nel citato incontro governo-sindacati era stato affrontato anche il tema del dopo Quota 100, della volontà di prorogare Opzione donna e Ape sociale (da estendere a chi non percepisce la Naspi) e della possibilità di introdurre Quota 41 per alcune categorie di lavoratori fragili (uscita dal lavoro con 41 anni di contribuzione a prescindere dall'età anagrafica). L'obiettivo avrebbe dovuto essere uno: evitare nel modo più assoluto che il montante contributivo potesse ridursi, così da ridimensionare anche gli importi delle pensioni da liquidare nei prossimi anni.

Abbiamo usato il condizionale perché, secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, la nuova clausola sul pil rischia lo slittamento. E, di conseguenza, tanti saluti al piano anti-scippo che avrebbe dovuto scongiurare il taglio delle pensioni. Si parla di un posticipo di almeno un anno a causa di valutazioni tecniche sulle misure già in vigore. Il piano Catalfo, al lordo degli effetti fiscali, dovrebbe infatti raggiungere un costo compreso tra i 2,5 e 3 miliardi di euro nel 2023, a salire negli anni successivi.

Il meccanismo di salvaguardia in vigore dal 2015 dovrebbe dunque restare in funzione anche per il prossimo anno. Morale della favola: tanti saluti, almeno per il momento, alle promesse fatte non più di qualche giorno fa. È per questo che, a meno di ripensamenti, la misura garantita dal ministro Catalfo ai sindacati dovrebbe andare verso un congelamento.

La valutazione dei tecnici

I tecnici del Mef ritengono che l'impatto della recessione sulle pensioni non si porrebbe prima del 2022, per giunta senza alcuna certezza. Detto altrimenti, non vi sarebbe alcuna necessità di intervenire subito. Anche perché l'attuale salvaguardia rinvierebbe la penalizzazione sotto forma di decurtazione delle rivalutazioni positive degli anni successive a partire dal 2023.

A detta dei tecnici del governo, insomma, la norma del 2015 (legge 109 di conversione del dl 65) – che prevede la salvaguardia dall'effetto recessione sulla rivalutazione delle pensioni – sarebbe valida anche per tutti coloro che usciranno dal mercato del lavoro nel 2021. Ricordiamo che il citato provvedimento era stato adottato dall'esecutivo Renzi in virtù di una media quinquennale negativa sull'anno 2015 da ricollegarsi alla recessione provocata dalla crisi dei debiti sovrano del 2011-2012.

La nuova salvaguardia sul montante contributivo potrebbe slittare alla manovra del 2022.

Se così fosse, si creerebbe una coincidenza con le misure di flessibilità allo studio per sostituire Quota 100, che nel dicembre 2021 concluderà la sua fase sperimentale. Per quanto riguarda il requisito di vecchiaia, dal primo gennaio 2021 all'intero 2022 la soglia rimarrà invariata a 67 anni.

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