Letteratura

Era l'einaudiano "signore dei libri"

Editore, scrittore da Premio Strega e critico, è stato l'anima del Salone di Torino

Era l'einaudiano "signore dei libri"

È morto, a 85 anni, Ernesto Ferrero, direttore del Salone del Libro di Torino (dal 1998 al 2016), einaudiano di ferro e intellettuale di velluto, critico e scrittore da Premio Strega, capace di essere la summa di tutta un'epoca dell'editoria italiana, quello che indubbiamente, e a ragione, è stato considerato il signore dei libri. Classe 1938, Ferrero ha iniziato la sua lunghissima carriera editoriale all'Einaudi dove ha lavorato per un ventennio, partenza all'ufficio stampa per poi andare verso l'empireo, dal 1984 al 1989, direttore editoriale. Dopo è passato lasciando il segno, ma sempre con stile felpato e sabaudo, nei gangli decisionali dei principali editori italiani, tra cui Bollati Boringhieri, Garzanti (direttore editoriale) e Mondadori (direttore letterario). Parallela a quella puramente editoriale, Ferrero ha portato avanti anche una lunga carriera letteraria, spaziando dalla linguistica al romanzo. Da questo versante il «soldato sabaudo che ha salvato il Salone del libro», così è stato definito, era un talentuoso dotato di molte passioni. In primis dicevamo della lingua, al centro del suo saggio del 1972 I gerghi della malavita dal '500 a oggi (per i tipi di Mondadori). Si trattava di un ricco dizionario del gergo criminale, che raccoglieva tantissime voci, a partire dal Rinascimento, pescando dalla storia, dai dialetti, dalla tradizione orale e dai testi. Ma la chicca era il saggio introduttivo che spiegava il significato, le origini e la storia del gergo, con specifico riguardo al crimine.

Era l'inizio di un percorso colto in cui Ferrero ha esplorato la lingua letteraria con particolare attenzione a Gadda, Calvino e Levi. È dedicato a Calvino anche il suo ultimo libro Italo, uscito da pochi giorni per i tipi di Einaudi. Del resto non è un caso che uno dei suoi libri più noti sia Album di famiglia. Maestri del Novecento ritratti dal vivo (sempre per la casa dello struzzo). E basta quest'album per chiarire perché Ferrero è stato il signore dei libri. A parte i già citati Levi e Calvino ha intersecato le parabole di Calasso, Montale, Eco, Sciascia, Parise (che lo chiamava «contino» per quella sua aria risorgimentale), Bobbio...

E si potrebbe continuare. Per la quotidianità di una serie di personaggi epocali: leggere Ferrero. Leggere Ferrero anche per come è stata la vita day by day all'Einaudi dal 1963 al 1965: I migliori anni della nostra vita (Feltrinelli, 2005). Ma non è il caso di ridurre Ferrero ad un elenco di titoli. Anche se si potrebbe visto che sono tantissimi. Ah, en passant è stato anche traduttore di Flaubert, Céline e Perec.

E poi passioni come quella per Napoleone. Una passione coltivata sin da bambino guardando il busto dell'imperatore nella casa al mare del nonno a Diano Marina. Da quel busto con un volto calmo e quasi divino sino a N., il libro con cui Ferrero ha vinto il Premio Strega del 2000 e che è diventato un successo da grande schermo, N (Io e Napoleone) per la regia di Paolo Virzì. Il romanzo ricostruisce i giorni dell'esilio sull'Isola d'Elba di Napoleone attraverso gli occhi del suo bibliotecario, che all'inizio cova piani omicidi verso l'Imperatore e poi ne resta ammaliato. E non si può non cogliere tutte le implicazioni di uno sguardo amorevole verso un Napoleone bibliofilo... E napoleonico era il piglio di Ferrero al Salone. Ma un Napoleone giovane, alla campagna d'Italia. Sino alla soglia degli 80 anni, sotto le volte del Lingotto era famoso per le sue performance da maratoneta. Lo vedevi sfrecciare da una sala all'altra, ubiquo. Aveva anche un vezzoso contapassi, come confessò ai giornalisti. Altro vezzo l'amata rosa di carta, un origami di parole che sistemava all'occhiello dal giovedì mattina innaugurale alla domenica: «Me l'ha regalata l'amico Allemandi, è un portafortuna, e a me sembra profumi davvero».

Dettagli che danno l'idea di uno stile. Che manteneva anche nelle polemiche. Una carriera troppo lunga la sua per evitarle, del resto. E allora un po' di aneddotica anche qui. Non digerì il Nobel alla letteratura per Bob Dylan. Punzecchiato chiarì subito che il problema andava oltre: «Il Nobel a Dylan è una scelta assurda, sbagliata e incredibile... Quelli di Stoccolma sono abbonati alle scelte discutibili. Spesso hanno premiato gente che conoscevano solo gli addetti ai lavori... È inelegante dirlo adesso, ma anche il Nobel a Dario Fo fu una bizzarria pura».

Fu al centro di un clamoroso scambio di persone nel 2015. Si stava in piena acquisizione di Rcs da parte di Mondadori. Comparve un intervista a Ernesto Franco, allora direttore editoriale Einaudi, stranamente critico nei confronti dei vertici Mondadori. Ecco a Repubblica per un banale errore d'agenda avevano in realtà sentito Lui, Ernesto Ferrero. Che effettivamente sentendosi fare domande su Einaudi aveva giustamente pensato di dire la sua da ex che può ragionare da ex. Ne nacque un bell'errata corrige.

Ma sono tantissime le storie editoriali che ruotano attorno a Ferrero. Come universale è il cordoglio espresso ieri. Si va dal presidente dell'Associazione italiana editori Innocenzo Cipolletta - «Un protagonista indiscusso» - sino al ministro per la Pubblica amministrazione, e senatore di Forza Italia, Paolo Zangrillo - «Ci consegna una importante eredità: contribuire a valorizzare e diffondere la cultura italiana nel nostro Paese» - passando per il sindaco di Torino Stefano Lo Russo - «Acuto osservatore del mondo» - e il presidente della regione Piemonte Alberto Cirio: «Grande intellettuale». Un intellettuale che era einaudiano soprattutto: «Nello stile asciutto che migliora con la sottrazione» diceva.

Oggi cosa rara.

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