La Terra non è solo un problema europeo

La sostenibilità non può essere solo ambientale. Deve essere anche sociale e produttiva, perché senza la solidità delle imprese e senza il presidio dei territori non esiste futuro verde possibile

La Terra non è solo un problema europeo

Per ogni tonnellata di emissioni tagliata nell’Unione Europea nel 2024, il mondo ne ha aggiunte dieci. Un dato che racconta l’urgenza di una riflessione profonda, perché la transizione ecologica resta una priorità assoluta, ma non può essere un percorso solitario. Serve un’Europa che accompagni e non penalizzi, che premi chi investe, innova e produce in modo sostenibile. Un’Europa che lavori in collaborazione con il mondo, non contro di esso ma neppure contro sé stessa. L’Europa ha scelto la via della transizione con coraggio e visione, ma anche con spinte ideologiche che rischiano oggi di farne l’unico continente a sostenere i costi più alti del cambiamento, mentre altrove – pensiamo a Cina e India – le emissioni aumentano e parte della manifattura europea si delocalizza, attratta da regole ambientali meno stringenti e costi inferiori.
Se la lotta al cambiamento climatico non diventa globale, ogni sforzo europeo rischia di perdere efficacia e di tradursi in un indebolimento della nostra competitività.
Una inversione di marcia però c’è stata e l’Italia ha giocato un ruolo da protagonista per avviarla. C’è anche una data simbolica che può essere indicata come l’inizio del nuovo Green Deal Europeo, ed è il 4 novembre, quando il Consiglio Ambiente ha raggiunto un accordo sulla revisione della legge sul clima. È stato confermato l’obiettivo di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra del 90% entro il 2040 ma sono state inserite una serie di flessibilità chieste dall’Italia e da altri Stati che consentono di rendere il percorso più giusto e sostenibile anche da un punto di vista economico e sociale, per le famiglie e il sistema industriale del nostro Paese.
Quello avviato a Bruxelles, con il contributo determinante dell’Italia, è un percorso necessario per correggere le distorsioni emerse nella passata legislatura e garantire che la transizione verde non si traduca in perdita di posti di lavoro o deindustrializzazione, ma in una vera opportunità di crescita, innovazione e coesione territoriale.
L’Unione Europea sta facendo molto, ma può e deve fare di più. Anche rafforzando l’apporto degli agricoltori e delle popolazioni rurali e montane nel mantenere il presidio ambientale del territorio.
In un’Europa colpita sempre più spesso da catastrofi naturali – alluvioni, incendi, siccità, dissesti idrogeologici – è giusto chiedersi se l’Unione possa fare di più per sostenere chi vive e lavora nelle aree più fragili. Mettere queste comunità nelle condizioni di preservare il territorio, manutenere boschi, piantumare, gestire l’acqua, significa investire in una politica proattiva di prevenzione e tutela. La transizione ecologica passa anche da qui: dalla cura del suolo, dalla difesa delle risorse naturali e dal riconoscimento del ruolo di chi le custodisce.
La prossima Conferenza delle Parti, la Cop30 che si svolgerà in Brasile a partire da domani, dovrà essere un momento di svolta capace di costruire un nuovo equilibrio tra ambizione e realismo. La sfida climatica non può essere affrontata in solitudine. La leadership europea deve tradursi in cooperazione internazionale, non in isolamento industriale.
Gli effetti di politiche climatiche sbilanciate sono già evidenti: seicentomila posti di lavoro persi, cali produttivi del 35% nell’acciaio e del 50% nella ceramica, filiere strategiche in difficoltà.
Non possiamo costruire un futuro sostenibile sacrificando la competitività e l’occupazione.
L’obiettivo deve essere una transizione anche economica e sociale, capace di valorizzare le imprese europee e di premiare chi contribuisce alla sostenibilità concreta.
L’Italia si muove in questa direzione con pragmatismo e visione: i biocarburanti, grazie alla nostra perseveranza, sono stati finalmente riconosciuti come uno strumento per la neutralità climatica. E poi rinnovabili e nuovo nucleare, che torna in Italia dopo quarant’anni grazie a una iniziativa legislativa del nostro Governo.
E ancora idrogeno, efficienza industriale, economia circolare.
Tutti strumenti concreti per rendere la transizione un’occasione di crescita e non un freno.
La sostenibilità non può essere solo ambientale. Deve essere anche sociale e produttiva, perché senza la solidità delle imprese e senza il presidio dei territori non esiste futuro verde possibile.
La Cop30 di Belém sarà dunque il banco di prova per una transizione che deve essere globale, giusta e condivisa.
L’Europa deve restare leader del cambiamento, ma con il mondo, non contro di esso. Ma neppure, come dicevamo, contro sé stessa. Servono alleanze, cooperazione, reciprocità. La sfida climatica deve diventare occasione di sviluppo, non di penalizzazione.


Transizione sì, ma con l’Europa nel mondo: solo così la sostenibilità potrà essere davvero ambientale, economica e sociale.
Solo così la transizione sarà una sfida comune, non un sacrificio solitario.
*Presidente della Consulta Nazionale di Forza Italia ed Eurodeputato Ppe **Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

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