I punti chiave
Un nuovo e importante passo in avanti nella ricerca di una terribile malattia per cui, ancora, non c'è una cura definitiva che colpisce milioni di persone in Italia e nel mondo: stiamo parlando della depressione. Alcuni ricercatori del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (Nico) di Torino hanno messo in luce il meccanismo chiave tramite il quale la malattia riduce l’attività dei neuroni della corteccia prefrontale mediale, la regione del cervello fondentale per la regolazione delle emozioni e il modo in cui risponde allo stress.
Cosa succede ai neuroni
Lo studio pubblicato su Scientific Reports e portato avanti dal gruppo di ricerca del prof. Tempia, ha spostato l’attenzione dai tradizionali deficit della produzione di serotonina nella depressione ai deficit dell'attività nervosa nella corteccia prefrontale mediale. Nelle cavie, infatti, è stato osservato un atteggiamento considerato "depressivo" dopo uno stress cronico in quell'area del cervello con i neuroni che sono diventati meno "eccitabili" mostrando anche una frequenza più elevata alla scarica. Da qui è stato scoperto che quando vengono stimolati fanno fatica a mantenere correttamente l'attività elettrica per poter rielaborare tutti gli stimoli che provengono dalle altre aree del cervello.
La scoperta
"Abbiamo scoperto che nelle cavie suscettibili allo stress cronico, i neuroni della corteccia prefrontale perdono parte della loro capacità di rispondere in modo sostenuto agli stimoli eccitatori. Questo deficit di eccitabilità potrebbe rappresentare una base cellulare della ridotta attività della corteccia prefrontale osservata nei pazienti con depressione", spiega Anita Maria Rominto, dottoranda al Nico e prima autrice della ricerca. Nel dettaglio, l'osservazione sul comportamento dei neuroni è avvenuta anche con un'analisi elettrofisiologica (l'elettroencefalogramma) dove è stato osservato un innalzamento della soglia di attivazione e un’accentuata iperpolarizzazione postuma, due fenomeni che rendono più difficile per i neuroni generare e sostenere potenziali d’azione.
Quali terapie
"Questi risultati suggeriscono che un’iperattività di specifici canali del potassio possa contribuire alla disfunzione della corteccia prefrontale nei disturbi depressivi. Comprendere questo meccanismo apre nuove prospettive per lo sviluppo di terapie mirate a normalizzare l’attività neuronale", spiegano il professor Filippo Tempia e ka professoressa Eriola Hoxha che hanno preso parte allo studio che ha studiato il comportamento animale di depressione che si basa su uno stress da "sconfitta sociale cronica": soltanto quelli più sensibili a questo stress hanno messo in evidenza comportamenti di evitamento sociale.
"La corteccia prefrontale mediale è una delle aree cerebrali più colpite nei disturbi depressivi, e le tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva che la coinvolgono (come la stimolazione magnetica transcranica) hanno già dimostrato un effetto antidepressivo.
I nuovi dati forniscono una base biologica per comprendere perché tali terapie risultino efficaci e indicano i canali del potassio come potenziali bersagli farmacologici", concludono i ricercatori. L'Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) fa sapere che la depressione è una malattia che colpisce il 5% della popolazione adulta in tutto il mondo.