A caval donato, recita il vecchio adagio, non si guarda in bocca e lAlbero di Luce, almeno sulla carta, è un progetto che merita encomio anche e soprattutto perché nasce da uniniziativa privata, come nella migliore tradizione di una città che nel passato ha sempre aperto i suoi spazi alle iniziative del florido associazionismo culturale e a quelle dei grandi mecenati della borghesia illuminata.
Il fatto che il Comune abbia concesso allopera dellartista Barrese una delle sue piazze più frequentate - e lo abbia fatto a costo zero - rincuora perché brucia ancora tanto il ricordo di unaltra grande scultura di luce, «LAlba» (successivamente ribattezzata «La Branda»), costata due milioni di euro pubblici - uno per allestirla e uno per smontarla - e che da tre anni giace ridotta a un rottame in un cimitero degli oggetti abbandonati. Lopera del designer britannico Ian Ritchie fece bella mostra per un anno e mezzo davanti alla Stazione Centrale e fu definita dallallora sindaco Albertini una scultura simbolo «della capacità di Milano di costruire il futuro». Salvo essere poi definita dal vicesindaco De Corato «un errore a cui era doveroso rimediare».
Stavolta il problema non si pone perché lAlbero di Luce nasce già come installazione temporanea e soprattutto local o, per usare unespressione corrente, site specific. Il termine local funziona a meraviglia perché la scultura, che rappresenta un vero e proprio monumento allarte tecnologica, ben si adatta ad una città in cui è radicata la cultura del progetto - di cui lExpo raccoglierà (speriamo) i frutti - e che sempre più va configurandosi come capitale italiana e forse europea del design e dellarte applicata. Allo stesso tempo, lopera si configura come «site specific» perché, come nella migliore tradizione dellarte pubblica, utilizza unestetica contemporanea per veicolare un messaggio che emoziona la collettività: nella fattispecie larrivo del Natale. Piacerà o no, i cittadini saranno costretti a guardarla e a commentarla, interrogandosi, nella migliore delle ipotesi, sullo stato dellarte. Viene così perfettamente assolto il ruolo dellartista che nel passato, con i propri monumenti, si faceva catalizzatore di storie e narrazioni, una sorta di «memoria energetica» proiettata verso il futuro, memoria capace di diventare portatrice di unidentità collettiva. Basti pensare alle statue dedicate ai militi ignoti o a quelle a Vittorio Emanuele o Giuseppe Garibaldi che, con il loro realismo, evocavano sentimenti di appartenenza e di unità nazionale. In attesa che Largo Cairoli si accenda, cè infine da augurarsi che liniziativa non resti uno spot ma possa dare il «la» ad altri progetti da realizzare con regolarità coinvolgendo il territorio.
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