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Dalla Filarmonica all’Accademia, le notizie corrono sulle note

Prova d'orchestra. Non più nell'acustica perfetta dell'Abanella in rovina, ma nell'acustica imperfetta della "torre" del Botta bianco-svettante. I due Riccardi si passano di mano la Filarmonica. Questa volta a dire «Signori per favore, dalla battuta tale del numero tale» è Riccardo Chailly. La disciplina è meno ferrea. Il direttore si lamenta. Ma quando qualcuno va come dice lui, quando tutti eseguono come gli piace e la note dell'Uccello di Fuoco cascano leggere e scintillanti su spartiti e leggii, allora si ferma e esclama "bellissimo". Si volta ancora e sorride rapito. "Bravi, veramente bravi". Ci eravamo abituati a uno che parlava meno. Almeno con le parole. E siccome tutto e tutti erano sempre come li voleva, non c'era nessun motivo né di adombrarsi né di far festa a quei professori che erano la "sua famiglia". Muti stava con il cashmirino gettato sulle spalle. Chailly si stringe attorno al collo il suo bravo asciugamano. Come un pugile. Direttore che va direttore che viene.
Arriva un comunicato. Il file si chiama Prina. Che vorrà dirci? La signora nulla. Ma parla il foglio con il logo dell'Accademia della Scala. Dice laconico che Anna Maria Prina lascia la direzione della Scuola di Ballo a Frédéric Olivieri, il direttore del Ballo. Non che si menzionino raggiunti limiti di età, motivi di salute, di famiglia, di incomprensione. Nulla. Non è dato sapere perché la più intelligente, scrupolosa, intuitiva, attiva, intraprendete (è lei che s'è adoperata per consegnare alla Scuola arroccata sui tetti di via Verdi la sede di via Campolodigiano, bella e funzionale) delle direttrici debba scomparire così, ingoiata dal nulla. Non certo, in ogni caso, per svampitezza d'età. I suoi 63 sono pochi e lucidi che più lucidi non si può. Era lì dal'74. Ha plasmato talenti, dalla Ferri a Bolle. Nella bufera del 2005, a Scala decapitata, la sua testa era rimasta al posto giusto. Bastava aspettare.
Sala Verdi. Il San Raffaele festeggia il decennale. Laurea honoris causa al cardinale Martini e anello a Riccardo Muti. I due non ci sono. Uno continua imperterrito gli amati studi biblici nella minacciosa Gerusalemme. Ma arriva la superba lectio magistralis. L'altro, che ha diretto e non avrebbe dovuto, si cura un'influenza diventata arrabbiatissima. Ma arrivano quattro ragazzi dell'adorata Cherubini. Eseguono i quartetti K 285a e K 285 di Mozart. Il loro maestro è uno che informa di sé. La Cherubini gli somiglia da sempre. Paolo Taballione, Luisa Bellitto, Antonio Buono e Misael Lacasta, si guardano, si ascoltano, sentono nello stesso modo. Arcate lunghe, fiato che va con il ritmo.

Chiudiamo gli occhi. Qualcuno è ancora qui (ma non tornerà mai, cosa va alludendo l'assessore, sostenuto da due coriste con scatola a cuore e note sparse del Va pensiero, ai cronisti del foyer?) per consegnarci la sua perfezione.

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