La fotografia «parlata» di Jacqueline Vodoz

Ogni immagine raggiunge la massima pienezza comunicativa soprattutto se si legge in relazione alle altre. Solo così si può capire l’intero lavoro di Jaqueline Vodoz, della Fondazione Vodoz e Danese di via Santa Maria Fulcorina 17. Una mostra, «Fotografia parlata», chiusa al pubblico da pochi giorni ma che si potrà ancora visitare su appuntamento fino al 30 ottobre (tel.02/86450921). Nata a Milano nel 1921 Jaqueline Vodoz, dopo avere studiato prima in Italia, poi in Svizzera e Inghilterra inizia ad acquistare esperienza e fama soprattutto negli anni Quaranta perché legata a una casa editrice di Zurigo. Nei primi anni Cinquanta diventa responsabile di un’importante industria italiana per l’estero e nel ’53 inizia l’attività di fotoreporter trasferendosi dalla Svizzera a Milano e documentando momenti vitali del nostro passato. Quotidiani e riviste tra le più diffuse in Italia e all’estero riportano le sue immagini, e il suo lavoro vive anche attraverso gallerie d’arte di tutto il mondo.
A un mese dalla sua scomparsa, la mostra allo studio milanese nel cuore del quartiere Magenta ripercorre le tappe fondamentali del suo lavoro con la fotografia. Nel 1957 fondò con Bruno Danese la «Danese» per poi proseguire la sua attività di fotografa con grande impegno e ricerca progettuale, mettendo a disposizione di tutto il mondo immagini inedite, un vastissimo materiale iconografico raccolto e archiviato da progetti architettonici, di design e di paesaggio cittadino. Nel 1991 dopo la cessione della Danese, fonda con Bruno Danese un’associazione culturale attiva fino al 2004.


Ogni scatto e l’intera attività dallo Studio è sempre stato accompagnato dalla stima e dal sostegno di Bruno Munari (che non manca immortalato nell’esposizione), grande amico e collaboratore. Immortalò foto storiche che segnarono un’epoca tutta milanese come «Vigile urbano», «Giochi per le strade», «Intervallo di due ore».

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