È il raggio di sole che al solstizio penetra nella tomba di New Grange in Irlanda, costruita tra Neolitico ed Età del Bronzo: così è l'«Introduzione» di Clara Rubbi a Memorie Fluttuanti - Ritratti del Novecento di Rita Parodi Pizzorno («Tascabili» dei Fratelli Frilli). Scrive la presidente del Lyceum genovese: «Le memorie fluttuano in un andirivieni tra presente e passato come le onde del mare, il grande protagonista della narrazione». Si sofferma - ad esemplificare - sul racconto che è cuore del libro, «Un incontro nel tempo passato», storia di un marinaio della prima Guerra Mondiale, morto nel 1919 a 23 anni. E illumina come un raggio di luce un tema profondo dell'autrice: la possibilità di un contatto con l'Oltre, dove la voce di noi vivi raggiunge chi non è più. Così torna la vita, sconfigge il dolore come non ci fosse frattura tra presente e passato.
I racconti si svolgono tutti in viaggi per mare, viaggi di emigranti o di chi nel dopoguerra andò in America perché sembrava una Terra promessa, ma sono anche viaggi di ritorno alle nostre radici. Vi risalta la volontà, tutta italiana, di far bene: è il senso del ritorno in Italia di Piero nel 1963 con la Leonardo da Vinci, partendo da Manhattan. Nel 1953 era partito da Genova con il Vulcania, adolescente e profugo da Zara dove i suoi genitori pugliesi avevano avviato una grossa industria del pane. Ricorda: «Il nostro pane era il migliore, nel 1937 a Parigi aveva vinto il I Premio».
Piero torna da cittadino americano. A seguito del servizio militare ha avuto la cittadinanza per cui ha poi potuto iscriversi ad ingegneria meccanica. Durante l'addestramento militare, dove ha anche ottenuto una medaglia da «specialista del tiro», i suoi compagni venivano da ogni stato dell'Unione, ognuno aveva un proprio accento, quindi era più difficile la comprensione ma erano uniti, affratellati proprio da quella disciplina. Ora, ritornando, il suo cuore vive il tumulto dei ricordi, diviso tra Zara di case bianche, di antiche chiese, e New York con il Central Park, i grattacieli, la Statua della Libertà che gli dà l'emozione di quando la vide la prima volta: «una seconda patria».
La Statua campeggia anche nel racconto di una famiglia emigrata a fine Ottocento in Tennessee dal Nord Italia. Con la sua torcia accesa in mano era faro per i naviganti, era proprio «la Terra promessa», in quanto «lavoro e libertà». In Tennessee c'erano gli indiani che il nonno racconta così ai nipotini: «Le necessità sono uguali per tutti e gli emigrati nel momento del bisogno aiutavano le tribù indiane».
Delicato, intenso, nobile questo libro di un'autrice che esordì nel '93 con Prime Poesie (onorate dalla prefazione di Luigi Surdich), continuando con testi uno diverso dall'altro, quindi più avvincenti: Viaggio a Praga, Cronache dell'assurdo, Il teatro delle ombre...
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