
La copertina del Time non è scontata e questa volta non lo è neppure il titolo. Giorgia Meloni è in blu, con i capelli biondi che scendono sulle spalle e un aspetto piuttosto istituzionale. Il titolo dell'intervista evoca una leadership non solo nazionale. «Ecco dove sta portando l'Europa». La firma è di Massimo Calabresi, capo dell'ufficio di Washington e che il 4 luglio è arrivato a Palazzo Chigi per un lungo colloquio. L'obiettivo era capire qualcosa in più della prima donna a capo di un governo in Italia, per andare oltre quello che si dice. Non solo raccontare la Meloni, ma, in qualche modo, riuscire a spiegarla. Chi è davvero e perché non è facile banalizzarla. La chiave è lo stupore. La forza della Meloni è una certa testardaggine, ma anche la capacità di non dare per scontato nulla. «Diciamo che sono fissata per alcune cose, forse perché sono del Capricorno». Non si nasconde, non arretra, non ha nulla da rinnegare perché il fascismo, sinceramente, non le appartiene. Quando dice che per sensibilità, carattere e visione del mondo non sopporta, e rifiuta, qualsiasi dittatura non sta fingendo. Queste cose le pensava anche quando frequentava Colle Oppio, per rabbia e solitudine, ma da allora sono passati tanti anni e i suoi orizzonti sono parecchio diversi. Quello che resta è invece la consapevolezza di sentire come suoi i valori occidentali e il sentirsi italiana. «First of all, we have to defend what we are». Dobbiamo difendere ciò che siamo: la nostra cultura, la nostra identità, la nostra civiltà. È un punto centrale, ma sarebbe un errore definire Giorgia Meloni solo con questo. Le radici sono fondamentali, ma non per restare fermi. «Il fascismo - scrive Calabresi - è un tema a cui Meloni non può sfuggire. Quando salì al potere nell'ottobre 2022 a capo di un movimento fondato dagli ultimi devoti seguaci di Benito Mussolini, i critici in Italia e in tutta Europa affermarono che i suoi appelli all'orgoglio nazionale e alla difesa della civiltà occidentale preannunciavano una svolta di estrema destra per l'ottava economia mondiale. Il presidente Joe Biden citò la sua elezione come esempio della minaccia che l'autoritarismo rappresenta per la democrazia globale. Ma Meloni ha smentito i suoi detrattori. In patria, ha virato al centro e sulla scena internazionale, si è comportata più come una conservatrice pragmatica che come una rivoluzionaria di destra. Meloni ha abbracciato l'Unione Europea, la Nato e l'Ucraina, si è adoperata per isolare la Cina e si è adoperata abilmente per ricomporre i rapporti tesi tra America ed Europa». Eccolo, allora, lo stupore, solo che nasce da un punto di partenza che forse è un po' da limare. Fratelli d'Italia è un partito che nasce fuori dal Novecento. Non è il Movimento sociale e arriva dopo l'esperienza governativa di Alleanza Nazionale, dopo l'ascesa e la caduta di Gianfranco Fini, dopo un bipolarismo che aveva ridefinito la politica italiana con una destra e una sinistra che non sono più quelle del biennio rosso. Fratelli d'Italia alla sua nascita ha una componente liberale, libertaria e perfino anarco-capitalista. Era minoritaria, ma c'era. L'ostinarsi a leggere Giorgia Meloni con le categorie del post fascismo è l'errore di partenza. È ridurre la sua figura a una caricatura e non spiega nulla della sua politica. È uno dei motivi per cui i suoi avversari faticano a contrastarla, perché combattono qualcosa che non esiste e non sanno trovare contromisure alla realtà meloniana.
Massimo Calabresi ne sottolinea le capacità di leadership. «La capacità di Meloni di conquistare gli scettici è in parte una testimonianza del suo evidente talento. Si sente quando qualcuno è un animale politico, afferma un diplomatico di Bruxelles che l'ha osservata lavorare nei corridoi dell'UE. Ma stava anche prendendo posizioni sostanziali a favore delle alleanze occidentali. Nonostante i lunghi rapporti dell'Italia con Mosca, Meloni ha sostenuto esplicitamente la necessità di sostenere l'Ucraina. Altrettanto importante per gli Stati Uniti, ha preso le distanze dalla Cina. L'Italia era l'unico Paese del G7 ad aver aderito alla Belt and Road Initiative cinese, un programma di prestiti infrastrutturali di vasta portata volto ad aumentare l'influenza globale di Pechino a spese di Washington». La politica estera è il campo in cui probabilmente si è mossa meglio. I suoi critici continuano a ripetere la litania dell'Italia isolata, di illusioni e delusioni, di sottomissioni ai capricci trumpiani. La realtà è che finora è apparsa soprattutto credibile. L'Italia non è la locomotiva d'Europa (e non lo è mai stata), ma cerca di avere un peso economico e diplomatico. Il tentativo è di superare alcuni limiti, ormai evidenti, dell'Unione, senza però rinnegare il sogno europeo. La scelta di tutelare il più possibile l'Occidente, inteso come incontro tra Europa e America, non è sottomissione a Trump. È capire che i Trump passano e l'Occidente resta. È una scelta più lungimirante di quanto si pensi. Poi ci sono le paure, le ostinazioni, le politiche su cui si può non essere d'accordo e ci sono i mille motivi per criticare questa destra. Tutto legittimo, ma continuare a parlare di una Meloni novecentesca significa non capire nulla di quello che sta accadendo.
«E ora, mentre l'intervista volge al termine, ha una domanda tutta sua. Lei è una persona onesta, esordisce nell'inglese frizzante che dice di aver imparato dalle canzoni di Michael Jackson. C'è qualcosa del fascismo che la mia esperienza di governo le ricorda?».