La geopolitica delle alleanze tattiche

Non le pesa. L'eredità di Mario Draghi è un punto di partenza, un'opportunità, non un fardello

La geopolitica delle alleanze tattiche

Non le pesa. L'eredità di Mario Draghi è un punto di partenza, un'opportunità, non un fardello. Giorgia Meloni sta cercando di trovare una sua strada nel panorama internazionale, senza rinnegare nulla, ma con la consapevolezza che adesso il suo ruolo è diverso. Non si muove come un leader di partito. Non cerca alleati ideologici. Quello che conta è il peso dell'Italia. Non ci sono pregiudizi. Non ci sono partner buoni o cattivi. Non c'è nulla di predefinito. Ci sono delle domande fondamentali. Cosa vuole essere l'Europa? Come si pensa, come si immagina? E poi. Cosa può fare l'Italia in questo orizzonte? Cosa faranno le altre nazioni? Come trovare un equilibrio tra interessi comuni e di parte? Infine. Cosa conviene all'Italia? Lo scetticismo sta lasciando spazio all'idea di costruire qualcosa. L'Unione europea non può essere un club litigioso o menefreghista dove Berlino e Parigi aprono e chiudono le danze. Gli incontri diplomatici di questi primi mesi sono serviti alla Meloni per farsi conoscere, per superare anche una certa diffidenza. Qualcosa in effetti sta cambiando. C'è ha chi preso atto che Meloni non è Orban. Non ci sono rischi autoritari a Roma e non ci sono ombre sulla politica estera. Sulla guerra in Ucraina non ci sono stati tentennamenti. La collocazione occidentale è chiara e rivendicata come motivo di orgoglio. Roma si muove cercando alleanze tattiche sui vari punti dell'agenda europea, con l'ambizione di spingere i vari governi a non mettere la testa sotto la sabbia davanti ai problemi. L'esempio è la questione immigrazione, delicata e con forti connotazioni politiche. La richiesta del governo italiano è dare una risposta comune a un fenomeno che nessuno può pensare di risolvere da solo. Il problema è che sui migranti ognuno si scopre sovranista. Non solo Budapest o Varsavia, che ne incarnano lo spirito. La realtà è che tutti rispondono con un certo cinismo. Tocca agli Stati di frontiera arrangiarsi, al massimo l'Europa può dare un aiuto economico, senza però sporcarsi le mani direttamente. È così che Roma si ritrova come alleati naturali Grecia, Cipro, Malta e in parte la Spagna. Gli altri non si sentono più di tanto impegnati. Si è parlato di uno scontro con la Svezia, presidente di turno, che ha boicottato il piano di redistribuzione. A Palazzo Chigi però negano il contrasto e fanno notare che condividono con Stoccolma la necessità di difendere le frontiere esterne. Quando si parla invece di questioni economiche, come il gas o il Pnrr, l'alleato di riferimento non può non essere la Francia. È un dato di fatto che supera la diffidenza dei governi. Macron e Meloni magari non si stanno simpatici. Non è stata ancora superata la diatriba sulle Ong, ma su molti aspetti non possono che stare dalla stessa parte. Parigi fa accordi con Berlino, ma che senza Roma gli equilibri europei si sposterebbero verso Nord. La necessità ti rende amico. Quanto conta l'Italia? Giorgia Meloni vorrebbe rivendicarne il ruolo e la storia. Non è sbagliato. L'Italia però si porta dietro una fragilità, una sorta di peccato originale, che frena le ambizioni. È il debito pubblico.

È quel ritrovarsi sempre in difetto, con un marchio di inaffidabilità, che ti rende preda e indebolisce. Su questo si può fare poco. È sul Pnrr invece che si può ritrovare dignità e autorevolezza. Fare bene sul Next Generation scolora il peccato del debito. È qui il riscatto.

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