Nei salotti televisivi, in quelli domestici e nelle piazze si discute a volte animatamente, e spesso a vanvera, della guerra in corso tra israeliani e palestinesi. C'è chi tifa apertamente per i secondi, chi prende le distanze dai massacri con un «ma Israele» che alle nostre orecchie suona stonato; c'è chi fa partire il problema dall'origine la fondazione dello Stato ebraico nel 1948 chi rispolvera le precedenti guerre, la stagione dell'intifada, gli accordi di Oslo sui «due popoli e due stati», insomma si spolpa la storia in cerca di appigli per sostenere la propria tesi.
Tutto legittimo, ma poi una mattina, ieri mattina, il governo israeliano diffonde un manifesto (che qui riproduciamo rinunciando alla tradizionale formula della prima pagina) con le faccine e i nomi dei ventotto bambini età tra i nove mesi e i diciassette anni che i terroristi di Hamas hanno strappato alle loro famiglie, alcune sterminate al momento del sequestro, e ora tengono prigionieri chissà dove. E allora ecco che di fronte a questo manifesto la storia non serve più a nulla, qui bisogna fare i conti con la cronaca. Guardate bene queste ventotto facce: di questo stiamo parlando e di questo dobbiamo continuamente parlare senza farci distrarre da dotte discussioni di geopolitica. Liberare questi innocenti non può essere un di cui della questione, bensì deve essere la questione principale, direi pregiudiziale a qualsiasi ragione vera o presunta, perché questi non sono prigionieri militari e neppure politici, sono solo bambini indifesi e molti di loro non sanno neppure di essere ebrei né che cosa sia Israele.
In queste due settimane di guerra centinaia, forse migliaia di bambini sono morti su entrambi i fronti.
La differenza è che quelli israeliani sono stati raggiunti casa per casa e volutamente uccisi, alcuni sgozzati, mentre quelli palestinesi sono rimasti uccisi nei bombardamenti di obiettivi militari, il che non attenua certamente dolore e rabbia ma sta sulla coscienza di chi ha voluto scatenare questo attacco, non di chi l'ha subito. Chi continua a pronunciare la parola «pace» prescindendo dalla sorte di questi ventotto innocenti non sa di che cosa parla. O forse lo sa ma gli va bene così.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.