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Taiwan, la Cina alza la tensione e Tokyo risponde: perché il Giappone teme davvero Pechino

Le esercitazioni cinesi attorno a Taiwan riaccendono la tensione con il Giappone. Tra propaganda anti-nipponica, basi Usa e geografia strategica, Tokyo vede nell’assertività di Pechino una minaccia diretta ai propri interessi e alla sicurezza regionale

Taiwan, la Cina alza la tensione e Tokyo risponde: perché il Giappone teme davvero Pechino
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All'inizio di novembre si è aperta una crisi diplomatica tra il Giappone e la Repubblica popolare cinese (Rpc) per via di alcune dichiarazioni del primo ministro nipponico Sanae Takaichi. La premier giapponese ha sostanzialmente riferito che Tokyo potrebbe rispondere militarmente nel caso in cui Pechino decidesse di attaccare Taiwan.

Queste dichiarazioni hanno provocato le ire della Rpc che si è lanciata in una serrata campagna di propaganda anti giapponese sui social network. Inizialmente questa propaganda mirava a sottolineare un presunto ritorno del militarismo in Giappone anche con evidenti distorsioni della realtà come l'affermazione secondo cui la bandiera del Sol Levante attualmente in uso nella Marina militare di Tokyo fosse un chiaro segno in tal senso. Successivamente la propaganda cinese si è lanciata in una campagna denigratoria delle forze armate nipponiche affermando che non siano in grado di svolgere la funzione di deterrenza in caso di attacco. Risulta oltremodo chiara la contraddizione di queste affermazioni: o il Giappone è una potenza militare pericolosa, oppure le sue forze armate sono inefficaci; entrambe queste valutazioni non possono coesistere allo stesso tempo.

La Repubblica popolare il 29 dicembre ha lanciato una grossa esercitazione intorno a Taiwan che simula il blocco navale dell'isola; in risposta, il Giappone e gli Stati Uniti hanno attivato i loro meccanismi di sorveglianza e ricognizione per monitorare quanto sta accadendo. Esercitazioni di sorpresa come queste infatti possono essere il preludio a un'azione militare vera e propria esattamente come è accaduto per l'inizio del conflitto in Ucraina.

La dichiarazione del primo ministro giapponese, che ha innescato la crisi diplomatica con la Rpc, è stata appositamente provocatoria? Il Giappone avrebbe veramente un problema di sicurezza nel caso in cui Pechino decidesse di attaccare Taiwan oppure è solo propaganda anti cinese?

Una recente analisi apparsa sul Wall Street Journal, dimostra che effettivamente il Giappone sarebbe sottoposto a una seria minaccia ai propri interessi nazionali in caso di attacco cinese all'”isola ribelle”. La conquista di Taiwan consentirebbe a Pechino di dominare le vie d'acqua strategiche della regione, di proiettare la propria potenza militare ampiamente nel Pacifico e di perseguire con maggiore aggressività le sue contestate rivendicazioni marittime e territoriali, alcune delle quali sono presenti anche con lo stesso Giappone (le isole Senkaku).

Per comprendere meglio di cosa stiamo parlando, però, occorre come sempre dare uno sguardo alla geografia. Un gruppo di isole giapponesi, chiamate Ryukyu, si estende a sud-ovest dalle quattro isole maggiori fermandosi poco prima di Taiwan. L'isola di Yonaguni - non a caso recentemente protagonista di una disputa diplomatica tra Tokyo e Pechino - situata a oltre 1900 chilometri da Tokyo, si trova però a meno di 110 chilometri da Taiwan. Alcune di queste isole si troverebbero proprio accanto alla zona di guerra, o addirittura al suo interno, e se la Rpc utilizzasse missili e navi da guerra per bloccare, bombardare e accerchiare Taiwan, metterebbe a rischio i cittadini e il territorio giapponese. Inoltre, le ostilità lungo le rotte commerciali della regione, tra le più importanti del mondo, comprometterebbero il commercio su cui il Giappone fa affidamento per la propria sopravvivenza.

Bisogna poi considerare che il territorio giapponese è costellato di basi militari statunitensi che molto probabilmente in caso di attacco cinese vorrebbero bersagliate dalle forze armate di Pechino in un'azione preventiva. Ovviamente qualora Washington decidesse di dare il suo sostegno militare diretto all'isola assediata.

Solo queste evidenze incontrovertibili giustificherebbero le parole della premier nipponica, ma bisogna considerare anche un altro fattore, ovvero come la propaganda cinese stia agendo in questi anni proprio nei confronti del Giappone e di altre nazioni dell'Asia orientale. Pechino attraverso diversi strumenti tra cui anche i social network sta dimostrando una sempre maggiore assertività diplomatica nei confronti, ad esempio, delle Filippine: recentemente infatti sono apparse immagini in cui la Repubblica popolare rivendicherebbe la sovranità anche su Palawan, una delle più grandi dell'arcipelago filippino. Lo stesso meccanismo si è osservato in modo più sporadico anche per il Giappone, quando Pechino ha lasciato intendere che anche l'isola di Okinawa potrebbe ricadere sotto la sovranità cinese.

Possiamo quindi affermare senza timori di smentita che il vero

pericolo nella regione non è il presunto militarismo nipponico, agitato da Pechino come uno spauracchio ad usum Delphini, bensì il ritorno del nazionalismo cinese diventato sempre più aggressivo.

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