"Putin si prepara a un accordo". Quelle voci da Mosca sui piani dello Zar

Per qualche giorno il dibattito mediatico russo sembra improntato a una cauta attesa. L’obiettivo: creare un contesto favorevole al vertice in Alaska

"Putin si prepara a un accordo". Quelle voci da Mosca sui piani dello Zar

In vista dell’incontro del 15 agosto tra Vladimir Putin e Donald Trump, la comunicazione russa sembra aver subito una virata strategica. La retorica antiamericana che, nelle scorse settimane, aveva ripreso i toni duri dell’era Biden, è stata improvvisamente smorzata. Anche i blogger nazionalisti e i corrispondenti di guerra più intransigenti hanno iniziato a rassicurare il pubblico: “Putin saprà ottenere l’accordo più favorevole per noi”.

Parallelamente, i media sembrano aver già trovato i potenziali capri espiatori in caso di fallimento del summit: Ucraina ed Europa. Izvestia, ad esempio, apre con “Il piano del presidente per un accordo” seguito da “E chi potrebbe sabotarlo”, individuando nei “soliti sospetti” i principali oppositori. Sul fronte internazionale, il Cremlino ha imposto una pausa informativa: nessuna novità su progetti in corso con Corea del Nord, Cuba, Venezuela o Afghanistan. Secondo fonti dell’opposizione, si tratta di una mossa per non fornire argomenti di pressione a Trump. Persino i resoconti ufficiali sulle ultime telefonate di Putin evitano accuratamente riferimenti a Paesi ritenuti “scomodi”.

Il segnale più clamoroso, però, è arrivato dalla televisione di Stato. Domenica sera Vesti Nedeli, il programma di approfondimento più seguito, ha aperto con un servizio dedicato alla possibile “fine dell’Operazione militare speciale” in Ucraina. A condurre, Yevgeny Popov – volto noto di Sessanta minuti e deputato di Russia Unita – in quello che molti hanno interpretato come un “sigillo politico” all’argomento.

L’ex consigliere presidenziale Sergey Markov ha commentato su Telegram: “Un messaggio chiarissimo all’intera macchina mediatica russa. Titolo e conduttore scelti con attenzione, niente è casuale”. Quasi in contemporanea, il portale lenta.ru ha citato Kirill Dmitriev, inviato di Putin per la cooperazione economica internazionale, che su X ha previsto che “il dialogo tra Putin e Trump porterà speranza, pace e sicurezza globale”. Altri siti, come gazeta.ru e Mosca della sera, hanno ventilato la possibilità di uno stop alle ostilità “alle condizioni della Russia”, pur distinguendo tra “fine della guerra” e “pace” vera e propria.

L'Institute for the Study of War (ISW) rileva che la linea russa resterebbe però ferma: stop alle ostilità solo a condizioni favorevoli a Mosca, con il mantenimento del controllo sulle regioni occupate e la possibilità di “cessate il fuoco settoriali” su infrastrutture o aree lontane dal fronte. Il contesto mediatico sta seguendo la stessa strategia. L’ISW percepisce da giorni un abbassamento dei toni antiamericani nei talk show, con la retorica aggressiva di figure come Vladimir Solovyov momentaneamente messa in secondo piano. In parallelo, alcune vetrine di regime hanno registrato cambi di programma: secondo Izvestia, il forum tecnico-militare “Army-2025” sarebbe stato cancellato, scelta che si inserisce nel quadro di un profilo comunicativo basso in attesa dell’incontro.

Il piano è chiaro: se l’accordo non dovesse concretizzarsi, la narrativa è già pronta. Ucraina ed Europa sarebbero indicate come responsabili del fallimento, mentre Putin verrebbe descritto come il leader che ha comunque cercato la soluzione “più vantaggiosa per la Russia”. Per ora, l’intera macchina informativa russa sembra muoversi in modo coordinato: abbassare la tensione, mantenere alta l’aspettativa sul summit, e preparare il terreno affinché qualunque esito possa essere presentato come una vittoria politica interna.

Fa eccezione, in queste ore, Tsargrad TV – l'emittente dell’oligarca conservatore Konstantin Malofeyev – che sta raccontando il vertice Trump-Putin in Alaska come un passaggio storico favorevole alla Russia, descrivendolo come un segnale di “lenta sconfitta dell’Ucraina” e di riaffermazione del ruolo globale di Mosca. La scelta dell’Alaska viene letta in chiave simbolica, come luogo legato alla memoria imperiale russa, mentre l’Unione Europea è ritratta come spettatrice marginale, esclusa dai tavoli reali del potere. Secondo la narrativa del canale, il summit non è solo un negoziato politico ma un atto di riposizionamento geopolitico e ideologico, con Trump e Putin che ridisegnano equilibri globali senza passare da Bruxelles o Kiev, rafforzando così l’immagine di una Russia protagonista e capace di dettare l’agenda.

I milblogger — una vera istituzione su Telegram — stanno, inoltre, traendo dal summit del 15 agosto a metà Alaska invece una conferma delle proprie convinzioni patriottiche e della narrativa ufficiale: non emerge tra loro alcuna speranza di pace, ma anzi una lettura più cinica e strategica dell’incontro. Alexander Kots, cronista filo-Cremlino, ha definito il summit “storico, se l'Occidente non gioca sporco”, facendo intendere che la leadership russa resta salda e pronta ad approfittare di qualsiasi errore internazionale. Un altro noto milblogger, Rybar, con oltre un milione di follower, ha descritto l’invito ad Alaska come “un capolavoro diplomatico di Putin”, segno che il leader russo mantiene il controllo della narrativa.

L’analisi predominante tra i milblogger è che il summit rappresenti una tregua tattica, non una vera pace: una pausa manovrata per ristrutturare lo sforzo bellico migliore e senza concessioni reali alla sicurezza ucraina o agli interessi occidentali.

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