Vertice all’ombra degli imperi: così Trump e Putin ridisegnano il mondo

Dal vertice esclusivo di Anchorage emergono tre pilastri di una “mentalità imperiale” condivisa: esclusione dell’Ucraina, autocelebrazione dei leader e interessi commerciali

Vertice all’ombra degli imperi: così Trump e Putin ridisegnano il mondo

Quando Donald Trump ha scelto Anchorage, in Alaska, come palco del suo incontro con Vladimir Putin, i suoi sostenitori hanno parlato di un “luogo strategico” capace di favorire accordi astuti. Non è mancato il richiamo alla storia: fu proprio da Mosca che Washington acquistò l’Alaska nel 1867, pagandola circa due centesimi ad acro.

Durante la Guerra Fredda, i vertici USA–URSS erano arene ideologiche: capitalismo e comunismo si sfidavano per il modello di società. Oggi, il vertice di Anchorage appare più simile a un tavolo di trattativa commerciale che a un duello esistenziale. Sia Trump sia Putin guardano al passato con nostalgia di grandezza. La pace è l’obiettivo dichiarato, ma il territorio resta la moneta di scambio. Ucraina e resto del mondo attendono di sapere se, dietro le porte chiuse dell’Alaska, si discuterà davvero di fine della guerra o di nuove mappe.

La mentalità imperiale

Eppure, la cornice scelta e soprattutto la decisione di escludere l’Ucraina dal tavolo hanno riacceso il dibattito su un tema che diversi studiosi vedono accomunare Trump e Putin: la mentalità imperiale. Dal 2022, con l’invasione russa, questa definizione è stata usata quasi sempre in relazione al Cremlino. Ma il secondo mandato di Trump – costellato di proposte come l’acquisizione della Groenlandia o del Canale di Panama, l’idea di annettere il Canada come 51° Stato e il dispiegamento di truppe in Messico – ha alimentato accuse simili anche verso la Casa Bianca.

Trump, va detto, alterna posizioni isolazioniste a spinte muscolari: ha condannato guerre “stupide”, bombardato l’Iran, mostrato scetticismo sulle alleanze e sulla difesa di democrazie vulnerabili come Taiwan. Tuttavia, l’ipotesi di “scambi di territori” per risolvere la guerra in Ucraina, anche contro la volontà di Kiev, rientra in quella logica di potere che ricorda le vecchie regole dell’era imperiale.

Il faccia a faccia esclusivo

Il vertice in Alaska è stato concepito come un faccia a faccia esclusivo. Europa e Ucraina ne sono fuori. Nelle capitali del Vecchio Continente si sono moltiplicate le telefonate per ottenere rassicurazioni: Trump ha promesso di “ascoltare più che decidere”, ma l’impianto resta bilaterale. Per molti, lo schema richiama la Conferenza di Yalta del 1945, quando le grandi potenze si spartirono l’Europa con tratti i matita sulla mappa, senza consultare i Paesi più colpiti. La storia polacca ne è esempio: tra il 1792 e il 1795 fu divisa tre volte da Austria, Prussia e Russia.

Il principio è sempre lo stesso: il potere si concentra al centro, la periferia accetta meno diritti in cambio di presunta “civiltà” o prosperità. Per Volodymyr Zelensky, l’esclusione è una ferita simbolica e politica. A febbraio, Trump e il vicepresidente JD Vance lo avevano rimproverato pubblicamente per “mancanza di gratitudine” sugli aiuti militari. “Non sei in una buona posizione… non hai le carte in regola”, gli aveva detto il presidente americano, riducendo l’Ucraina a una pedina debole.

Storici e diplomatici avvertono: trasformare un Paese di 40 milioni di abitanti in spettatore del proprio destino contrasta con il motto che è al centro dell’identità nazionale ucraina – nulla su di noi senza di noi. Una formula che collide con la narrazione di Putin, secondo cui gli ucraini sarebbero semplicemente “russi lontani da casa”.

Superiorità e autocelebrazione: dal culto della personalità alla nostalgia imperiale

La mentalità imperiale non è mai stata solo una questione di confini. È anche convinzione di superiorità culturale – e spesso razziale – unita all’autoesaltazione del leader. Dalle Crociate agli imperatori asiatici, passando per i monarchi europei, la retorica della “missione civilizzatrice” ha giustificato conquiste e spoliazioni. Putin ha recuperato questa narrativa, arrivando a paragonarsi a Pietro il Grande e promuovendo un “imperialismo messianico” volto a reintegrare Ucraina e altri vicini nella “grande Russia”. Per lui, il vertice in Alaska è l’occasione per riaffermare il diritto di Mosca a controllare parte dell’Europa orientale.

Trump, pur concentrato più sugli Stati Uniti, ha ridotto la distanza tra patriottismo e culto della personalità: monete con il suo volto, parate militari organizzate nel giorno del suo compleanno, branding immobiliare, il tutto benedetto dal manifest destiny. Per diversi analisti, accettare un vertice così disegnato equivale a offrire a Putin un riconoscimento simbolico.

Dalla Compagnia britannica delle Indie Orientali agli interventi americani in America Latina per proteggere la United Fruit, la storia è ricca di esempi in cui il commercio diventa strumento di potere imperiale. In Russia e Cina, monopoli di Stato controllano risorse strategiche; nella Washington di Trump, si parla apertamente di quote sui ricavi minerari ucraini in cambio di aiuti militari.

L’offerta di togliere le sanzioni a Mosca, unita alla minaccia di “dazi severi” ai suoi partner commerciali se Putin non accetterà un cessate-il-fuoco, conferma un approccio in cui politica di potenza e interessi economici si fondono.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica