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Altro che "la destra frena", le opposizioni sono in tilt totale

La narrazione della sinistra dopo il voto non regge alla realtà dei fatti: dai grillini al crack centrista, fino alle rivolte dei riformisti dem, le opposizioni sono a pezzi

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Il famoso "effetto Schlein" pompato dai sondaggisti. E poi il "nuovo" centrosinistra unito che esiste più sui giornali che nella realtà dei fatti. E ancora: governo e "destre" che, a detta di fini analisti, stanno perdendo il consenso del Paese e Giorgia Meloni che, sempre a detta dei suddetti analisti, sta scivolando giù altrettanto velocemente. Una narrazione che, almeno nelle prime ore dopo le amministrative, si è addirittura ingigantita. Con Repubblica che titolava (a caratteri cubitali) L'onda di destra si è fermata e Carmelo Lopapa che decretava "la rimonta del centrosinistra nel deserto artico della destra al potere".

Galvanizzata da tanto surreale ottimismo, pure Elly Schlein si è lanciata in fantasiose letture del voto: "il Pd è in ottima salute", "la destra frena", "non c'è stato l'effetto Meloni". Prima o poi, però, la fantasia finisce per schiantarsi contro il muro della realtà. E la realtà ci dice (numeri alla mano) che dal primo turno il centrodestra è uscito con quattro vittorie (Treviso, Latina, Imperia e Sondrio) contro le due del centrosinistra (Brescia e Teramo) e che anche la tanto decantata vittoria dem a Brescia (per Stefano Folli una sorta di "spinta psicologica" che riapre "la grande partita nazionale") non è così sbrilluccicosa come hanno provato a venderla. Cinque anni fa il Pd incassava il 34,4% delle preferenze, otto punti in più rispetto a quest'anno. Punti che nemmeno la lista civica della Castelletti è riuscita a compensare. Saldo finale: 5mila voti andati in fumo. A livello generale, poi, i candidati sindaco più vicini all'ala riformista, quelli che alle primarie hanno sostenuto Stefano Bonaccini, sono andati molto meglio di quelli vicini alla Schlein. Che ora si trova a dover contenere la rivolta dei moderati dem.

E se il Partito democratico non sta bene, i fantomatici alleati con cui l'ex sardina dovrebbe imbastire un asse da presentare alle prossime politiche non stanno certo meglio. A partire dal Movimento 5 Stelle che è riuscito a superare il 3% solo in cinque capiluogo. Un vero disastro per Giuseppe Conte che, con un Nazareno spostato sempre più a sinistra, si è visto scippare i temi più cari alla base grillina. Ora, in vista dei ballottaggi, ha già fatto sapere che il suo contributo alla causa sarà minimo: nessun apparentamento, solo una vaga indicazione di voto.

Se ci spostiamo sul fronte centrista, la musica suonata è persino più stonata. All'interno dell'ormai ex Terzo Polo la rottura è stata pressoché formalizzata, dopo il fuggi-fuggi generalizzato da Azione, dall'ipotesi di formare gruppi separati in Parlamento. Se queste sono le premesse per la costruzione del campo largo, ne vedremo delle belle. I migliori propositi della Schlein sono mere chimere.

Provi pure a far dialogare Conte con Calenda o Renzi con Conte o, peggio ancora, Calenda con Renzi, nemmeno la più sfrenata fantasia di certe testate progressiste potrebbe credere in un'impresa tanto ardua.

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