La battaglia (vinta) contro la Mafia

L' ennesima commemorazione di Giovanni Falcone dovrebbe insegnarci che fu il martire di una vittoria, e che la sua figura, con Paolo Borsellino e pochi altri, resta il simbolo di una battaglia che questo Paese ha saputo vincere, anche se non vuole ammetterlo

La battaglia (vinta) contro la Mafia
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L' ennesima commemorazione di Giovanni Falcone dovrebbe insegnarci che fu il martire di una vittoria, e che la sua figura, con Paolo Borsellino e pochi altri, resta il simbolo di una battaglia che questo Paese ha saputo vincere, anche se non vuole ammetterlo.

Quella che si chiamava Cosa Nostra fu sconfitta negli anni Novanta, e a metterlo in premessa fu lo stesso Falcone: «La mafia non affatto invincibile, come tutti i fatti umani ha avuto un inizio e avrà anche una fine». Ma non è finita giovedì, è finita da tempo: a essere morta e seppellita è la mafia corleonese, distrutta nella sua struttura gerarchico-militare, coi capi tutti sottoterra o in galera, i picciotti pure, senza più, da allora, stragi e omicidi seriali né una vera presa sul territorio alternativa allo Stato. Ciò che resta

è archeologia giudiziaria o una foglia di fico per giustificare l'esistenza dell'apparato Antimafia, mentre «la lezione di vita di Falcone e Borsellino», ha detto il capo dello Stato, «divenne parte della migliore etica della Repubblica». Andrebbe ammesso, dopo 32 anni, che a vincere la battaglia sono stati fronti anche tra loro divergenti: da una parte i Carabinieri dei Ros, che hanno sempre arrestato i mafiosi veri (da Totò Riina a Matteo Messina Denaro) grazie alla loro indipendenza investigativa e a servitori dello Stato del calibro di Mario Mori, oggi ridicolmente ancora indagato; dall'altra Giancarlo Caselli e pochi altri, che a margine di processi anche molto discutibili (quelli, falliti, al cosiddetto terzo livello della mafia) hanno catturato boss e autori delle stragi come Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Gaspare Spatuzza, senza contare gli ergastoli inflitti e i circa 1.500 criminali che divennero

collaboratori di giustizia anche se purtroppo sollevarono problemi circa la loro credibilità.

Ci sono ancora molte cose da capire (vale anche per la stagione del terrorismo) in un Paese che straparla di stragi impunite anche quando sono punite, e c'è ancora molto da fare contro una criminalità di tutt'altro tenore che delinque e ricicla

denaro come succede in molti altri paesi. Restano, da vincere, rigagnoli di mentalità mafiosa che, oltre a una magistratura preziosa e silente, anche l'informazione e lo sviluppo e una buona politica potranno dissolvere.

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