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"Ci vogliono lontani...". Il piagnisteo delle Ong contro il governo

Le Ong dei migranti vogliono continuare a operare senza alcuna regola: è questo il senso dell'ultimo comunicato di Sea Watch contro il governo

"Ci vogliono lontani...". Il piagnisteo delle Ong contro il governo

Nelle ultime settimane, la sinistra si sta esibendo nel suo sport preferito, ossia la polemica strumentale tesa a destabilizzare il governo, picconandolo dall'esterno attraverso una strategia di delegittimazione agli occhi degli elettori. Ogni loro tentativo, però, fallisce miseramente e non serve nemmeno che sia la maggioranza di governo a smentirli, come è accaduto in queste ultime ore con le Ong. Mentre si attacca Giorga Meloni e la si accusa di aver tradito le promesse elettorali sui migranti, e di aver fatto solo propaganda inutile, le organizzazioni non governative dimostrano che l'azione che sta portando avanti il governo è efficace al suo scopo.

Dopo la Ong che ha minacciato di lasciare in porto le sue navi davanti alle nuove norme che potrebbero essere varate dal governo già nelle prossime settimane, incluso il codice di condotta, un'altra Ong ha iniziato a piagnucolare contro i "cattivi" del governo di Giorgia Meloni, il cui scopo è quello di tutelare la sovranità nazionale e di difendere i confini marittimi italiani e, di conseguenza, europei nel Mediterraneo centrale. Stavolta è Sea Watch a lamentarsi, perché l'assegnazione del porto di Livorno, come si dice in Toscana, non garba alle organizzazioni non governative, che lo considerano troppo distante.

"Le recenti operazioni delle navi di soccorso dimostrano che l'assegnazione veloce di un porto lontano ha un prezzo. I porti sicuri devono essere assegnati subito, ma con i porti molto a nord la volontà politica è di tenere le navi lontane dai soccorsi il più a lungo possibile", dicono dalla Sea Watch, che al momento non ha navi in mare. Ma nel mirino della Ong è finita anche la norma che, se inserita nel prossimo decreto, prevede l'obbligo di chiedere il porto al primo salvataggio: "Se le navi di soccorso civili dovessero essere costrette a entrare in un porto dopo il primo salvataggio completato, mentre altre persone sono in pericolo in mare, questo non sarebbe solo cinico ma violerebbe il dovere di soccorrere di ogni capitano".

Una ricostruzione che fa leva su una presunta etica morale da parte delle Ong, che però non fotografa l'esatta realtà dei fatti. Le navi delle Ong, infatti, effettuano interventi anche a diversi giorni di distanza tra loro e solo raramente raramente uno di seguito all'altro. Nel tempo che intercorre tra un intervento e l'altro, le navi restano a fare i "bastoni" davanti alle coste della Libia, in acque internazionali, con a bordo i migranti recuperati precedentemente. Sono le Ong, quindi, le prime a costringere le persone a una permanenza obbligata a bordo, almeno fino a quando le navi non raggiungono la capacità massima.

Ma, omettendo questo passaggio, dall'organizzazione si vuol far credere che la norma che potrebbe essere inserita nel decreto potrebbe risultare illegale: "Rifiutando questo dovere di salvataggio, il capitano è perseguibile penalmente. Sono previste pene fino a 3 anni di reclusione, molto più elevate, fino a 15 anni, se le persone dovessero perdere la vita. Non abbandoneremo le persone in pericolo in mare".

Il senso delle parole della Ong sembra essere chiaro: non rispetteranno le indicazioni del governo italiano e tenteranno di operare ancora al di là dei paletti normativi.

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