"Contro la violenza dei confini". Per il referendum sulla cittadinanza la sinistra arruola le femministe

Anche Non una di meno, gruppo femminista, si sta spendendo per chiedere di votare sì al referendum per la cittadinanza promosso dalle opposizioni

Immagine di repertorio
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"Sorella non sei sola". Questo è il motto delle femministe di Non una di meno che trovano la voce per denunciare violenze e soprusi solamente quando il carnefice è un "figlio sano del patriarcato", ossia un uomo occidentale e caucasico. In tutte le altre occasioni tacciono o, al più, si limitano a interventi stringati solo per mantenere l'apparenza. Il motivo lo spiega bene la cultura woke alla quale questo movimento, così come tanti altri, si ispira: denunciare un aggressore immigrato o di origine straniera, secondo la loro logica, aumenta la xenofobia. E poi, di base, c'è una cultura che attinge a piene mani dall'ideologia di sinistra dedita all'accoglienza indiscriminata, tanto che Non una di meno si sta spendendo per pubblicizzare e sostenere il referendum sulla cittadinanza proposto dalle attuali opposizioni.

"5XSì - Referendum 8 e 9 giugno", si legge nel volantino che l'organizzazione femminista ha promosso su gran parte dei suoi profili per spiegare ai fuori sede come fare a votare pur non tornando a casa. Per altro, il voto dei fuori sede, è una novità introdotta al governo attualmente in carica. Il referendum viene promosso per "lavoro e cittadinanza contro la violenza economica e dei confini". Il presupposto sul quale Non una di meno basa l'asserzione della "violenza dei confini" è l'idea che ognuno debba essere libero di spostarsi da un Paese a un altro senza regole e documenti e che chiunque chieda la cittadinanza la possa ottenere. L'Italia attualmente prevede che uno straniero residente legalmente in Italia possa richiedere la cittadinanza dopo 10 anni di residenza continuativa, a patto che non vi siano condizioni ostative per la sicurezza della Repubblica. Se dovesse passare il "sì", come chiedono la sinistra e le associazioni di supporto, questo tempo verrebbe ridotto ad appena cinque anni.

L'Italia permette già ora a chi nasce nel Paese, o vi arriva da bambino, di chiedere la cittadinanza al raggiungimento del 18esimo anno di età, quando si presuppone la necessaria consapevolezza per un passo simile. Se non esistono problemi ostativi e non ci sono pendenze legali, la cittadinanza viene concessa dopo gli accertamenti di rito.

Quindi, il referendum cambierebbe le regole solamente per chi è immigrato in Italia in età adulta o, comunque, consapevole. E tra i vantaggi di questo cambiamento per la sinistra c'è senz'altro l'ampliamento del bacino elettorale.

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