Una giornata alla rovescia tra mal di pancia e tradimenti

Il Pdl si ritrova a votare in massa un democratico mentre Sel rinnega un sindacalista. Con Marini si poteva uscire dal pantano, così avremo un presidente per sfinimento

Una giornata alla rovescia tra mal di pancia e tradimenti

Marini lo hanno congelato, ma si sono dimenticati di dirglielo. Quando i grandi elettori si sono stancati di pascolare a Montecitorio fuori c'è ancora un'ombra di sole, escono a piccoli gruppi, con gli occhi stanchi e la voglia di mangiarsi un gelato. Un uomo per il Quirinale ancora non c'è, alla fine lo sceglieranno per sfinimento. Qui, nel Palazzo, non solo non vedono un futuro, ma non sono neppure in grado di immaginarlo.

È mattina. Franco Marini appare ancora convinto che presto sarà presidente. Qualcuno conta i numeri e dice che bene o male tornano. Eppure su di lui non scommette nessuno. Lo capisci dalle facce turbate dei «giovani turchi», dall'abbraccio di consolazione tra Bersani e Alfano, dallo sguardo senza prospettive di Casini, da quel confabulare misterioso tra un «cinque stelle» e una «sellina» vestita come se avesse vent'anni, senza ormai sentirseli più. Un paio di giornaliste prendono il sole sognando di stare al mare. La realtà è che il destino di Franco è già compiuto. Per passare serve che uno su tre a sinistra voti per lui. Ma il ritmo dello spoglio è sbilenco. Marini, Rodotà, Chiamparino, bianca, Rodotà, bianca, bianca, Marini. Quando esce il nome dell'anziano Sabelli Fioretti voce di Un giorno da pecora si capisce che bianca appare troppo spesso, Chiamparino è di troppo e Marini è «fottuto». Il lupo è in trappola e l'uomo che doveva proteggerlo sta camminando sul vuoto. Marini 521 voti, 151 in meno del quorum e 224 smarriti dal suo presunto bacino elettorale.

Marini adesso ha scoperto una cosa. Non ha più un partito. Quello che ha contribuito a mettere in piedi da ex sindacalista cattolico, da democristiano, da popolare, da sinistra, lo considera un impresentabile. Adesso mettetevi nei panni di un signore di 80 anni che candidato al Quirinale viene maciullato dal suo stesso partito. Non la prende bene e si incaponisce. Quando gli chiedono di farsi da parte è chiaro che risponde: col cavolo. Se Bersani vuole può farlo eleggere alla quarta votazione, lì i numeri ci sono. Ora però il segretario del Pd ha i suoi problemi. Lo stanno scuoiando vivo e deve pensare a sopravvivere. Quindi Marini è l'ultimo dei suoi problemi.

Tutto quello che vedi nel Palazzo è falso, ambiguo o rovesciato. I parlamentari del Pdl si ritrovano a votare in massa per l'uomo del Pd. Giorgia Meloni confessa di averlo fatto con il mal di pancia, quello forte, e se gli tocca scrivere sulla scheda il nome D'Alema fa opposizione come l'ultimo jedi in Star Wars. I vendoliani rinnegano un sindacalista storico, nello stesso momento in cui i fedelissimi di Bersani lo stanno rinnegando più di tre volte.

Qualcuno dovrebbe anche spiegare ai parlamentari stellati che ci sono più cose in cielo e in terra di quanto il blog di Grillo possa comprendere. Per esempio che il loro candidato «certificato» non è per forza di cose quello che vuole la totalità degli italiani e, se è per questo, neppure la maggioranza. Oppure che il buon Rodotà non è solo un arzillo ottantenne, ma è stato quattro volte parlamentare, la quinta in Europa, presidente Pds, garante della Privacy a 450mila euro di stipendio. O è un altro Rodotà? (copyright Silvia Qelsi su Twitter). Come si fa a spiegare ai grillini che loro sono una parte e non il tutto e non parlano in nome del popolo italiano e neppure sono in missione per conto di Dio? Inutile. Magari, per coerenza logica, dovrebbero fare una battaglia contro il suffragio universale (tipo non far votare chi vota Berlusconi o altri candidati non graditi al movimento) o sostenere il presidenzialismo, quello che in America va di moda dal 1789, quando vinse George Washington quasi all'unanimità, con John Adams eletto vice presidente con 34 preferenze. L'altra soluzione, quella a Cinque Stelle, è far sparire Berlusconi per legge. Ci stanno provando.

Bersani, con l'operazione Marini, stava provando perlomeno a disattivarlo come protagonista politico. L'idea era un patto per uscire dalla seconda Repubblica e ricostruire un Paese con le fondamenta condivise. Tra gli effetti collaterali voluti c'era anche quello di tenere Renzi in naftalina per un paio di turni. Quando Renzi dice che tiene al destino del Paese, che è giovane, e può aspettare, vi sta raccontando una bella favola. È un bravo narratore. Ed è quello che manca a Bersani, che non ha neppure provato a raccontare che con Marini si usciva, bene o male, dal pantano dove da troppo tempo tutti continuano ad affondare. Non ne ha avuto né la forza né le capacità, solo la tigna. Non basta. Il risultato è che alla seconda votazione bianca ha vinto su tutti.

La giornata non ha chiarito nulla e probabilmente si andrà verso altre occasioni da perdere, una dopo l'altra, ossessionati da demoni, paraocchi e interessi personali. Un paio di grandi elettori hanno votato come presidente Trapattoni e Rocco Siffredi. Magari hanno ragione loro. Qui la notte è sempre più buia.

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