Il presidente non ha torto, una democrazia di astenuti, di assenti, di rassegnati è parecchio fragile. È il segno che in pochi ci credono. È menefreghismo. È simpatia per il potere autoritario. È che forse il passato non si sente più sulla pelle. È «dimenticanza». Ci può stare. Solo che quando si guarda indietro c'è sempre la tentazione di ricordare un paradiso perduto. Erano davvero così belli gli anni giovani di Mattarella? C'è da chiedersi se negli anni '60 e '70 e fino alla fine del millennio gli italiani fossero davvero così innamorati della democrazia. Le percentuali erano senza dubbio molto più alte: il voto come dovere, come piacere, come desiderio di esprimere il proprio pensiero e la libertà come partecipazione. Tutto molto bello. Il sospetto però è che gli italiani non fossero neppure allora questa massa di meravigliosi idealisti. Certo, c'era chi per la politica, soprattutto se carica di ideologi, si ammazzava per strada, ma la maggioranza votava perché si aspettava qualcosa in cambio. Era un patto di convenienza. Tu mi voti e io, candidato, ti prometto un posto di lavoro, una pensione, un futuro per i figli, qualche privilegio sparso e pure una casa. Si chiamava clientelismo e a suo modo funzionava. Quelle promesse spesso venivano mantenute.
La politica poteva e aveva un potere vasto e profondo. C'erano i partiti sul territorio e per essere eletti si doveva sgobbare. Adesso la politica conta di meno e non è affatto detto che sia un peccato. È la democrazia dei pochi che ci credono.