Pisapia non vede i compagni violenti

Di che colore è la violenza? Giuliano Pisapia sente i rumori, le urla e le botte che arrivano da fuori. Un centinaio di persone che tenta di entrare a Palazzo Marino. Sono dello Zam. Vogliono parlare con lui, con il sindaco, con l'avvocato radical e di sinistra. Stanno lì sotto, incavolati, perché la polizia ha sgomberato il loro centro sociale. Quell'ex acciaieria in via Olgiati a quanto pare appartiene a qualcuno che adesso ne rivendica la proprietà. Ci sono stati scontri, fumo, rabbia, calci, insulti e manganelli. Pisapia è in imbarazzo. Non parla. Non li riceve. Un po' fa come Pilato, un po' rinnega. Il giorno dopo su Repubblica dice due cose ai «ragazzi dello Zam». La prima. «Hanno sbagliato a individuare Palazzo Marino come un avversario». E qui è Pilato. La seconda. «La violenza non è, non può mai essere di sinistra». Come a dire, se siete violenti non vi riconosco, non ci apparteniamo, siete i soliti compagni che sbagliano. Oppure siete sedicenti, sotto sotto siete fascisti e perfino berlusconiani.

Qui, però, non ci interessa più di tanto la disfida tra il centro sociale e il sindaco. Qui è in ballo un vecchio vizio della sinistra, quel lavarsi sempre le mani, quel tirarsi indietro, quel comprendere senza condividere, quelle prediche senza responsabilità. La violenza non può e non può mai essere di sinistra? Non solo è falso. È anche un po' troppo facile. È negare la storia e chiudere gli occhi davanti al presente. È non sentire la rabbia che sale dal basso, che la crisi certo alimenta, ma che viene anche dall'odio antico verso il mercato, verso il denaro come sterco del diavolo, da chi ancora considera le ideologie del Novecento un tabernacolo sacro. La sinistra è violenta quando crea rivoluzionari senza la rivoluzione. La sinistra è violenta quando la rivoluzione non è e non può essere un pranzo di gala. La sinistra è violenta quando spara contro il nemico di classe. La sinistra è violenta quando non riconosce dignità umana a chi la pensa in modo diverso. È violenta quando indica qualcuno come male assoluto. Quando è frustrata perché il popolo non vota come dovrebbe. È violenta quando sputa sulla democrazia. È violenta ogni volta che pretende di essere superiore per grazia di Dio, del Capitale e a prescindere dalla volontà della nazione. Quando lo Stato è tutto e l'individuo è nulla, pensiero che spesso condivide con la destra (Stato proletario, Stato nazione, Stato produttore, Stato borghese, Stato razza o Stato religione).

Questo non è il momento di rifugiarsi in una presuntuosa superiorità morale. Non è il momento perché nuvole di piombo stanno cominciando ad addensarsi di nuovo nell'aria. E, in questo, non c'è alcun riferimento allo Zam e alla loro resistenza anti sgombero. È qualcosa di più denso e pericoloso. È quella voglia di non riconoscere più l'altro come un essere umano, di considerarlo indegno e nemico irriducibile. È la violenza di chi si muove in massa sulla rete per insultare chi pensa fuori dal coro. È l'indignazione assoluta che porta al nichilismo. È la violenza ottusa di chi brucia il futuro, per avidità, potere, menefreghismo. È chi se la prende, per paura, ignoranza o voglia eterna di un capro espiatorio, con lo straniero, il diverso, perché prega un altro Dio o parla un'altra lingua o ha la camicia sbagliata. È la violenza della folla che diventa numero e si carica e si convince perché si vedono in tanti, anche se non sanno contare. È la maledizione di tutte le minoranze numerose che si pensano come il tutto. È questo l'errore del sindaco di Milano. La violenza è di sinistra, di destra, di centro.

Sta in alto, in basso, sta fuori, spesso di testa, sta dove meno te lo aspetti, perfino sulle cattedre delle università. Sta facendo proseliti nella rete. La questione allora non è di che colore è la violenza, ma imparare a riconoscerla. E questo la sinistra fatica parecchio a farlo.

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