Se la scuola stressa il collettivo

I problemi nascono quando i motivi vanno declinati, perché passare dalla protesta alla proposta è sempre stato il compito in classe più difficile da superare per generazioni di rivoltosi, nati incendiari e cresciuti borghesi

Se la scuola stressa il collettivo
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Ieri mattina a Milano gli studenti del collettivo del Liceo Scientifico Vittorini hanno occupato l'istituto. Puntualissimi ormai nell'orario scolastico come il Natale, la Pasqua e il Primo Maggio, a dimostrazione di come non ci sia peggior conservatore di chi si pensa rivoluzionario, senza però avere gli attrezzi del mestiere. Molteplici i motivi della protesta. «L'occupazione - assicurano sugli istituzionali mezzi di comunicazione, sperando che il loro istituzionale messaggio raggiunga quante più istituzioni possibile - è il mezzo più potente e significativo che noi Studenti (con la maiuscola, ndr) possediamo per esprimere il nostro dissenso in un momento in cui crediamo fermamente di non poter restare indifferenti». E fin qui non resta che lodare il giovanile ardore e lo slancio generoso dell'adolescenza. I problemi nascono quando i motivi vanno declinati, perché passare dalla protesta alla proposta è sempre stato il compito in classe più difficile da superare per generazioni di rivoltosi, nati incendiari e cresciuti borghesi. Troppo facile l'attacco al premier Meloni e alla «repressione delle proteste dovute all'approvazione del Decreto Legge Sicurezza», un po' datato il «blocco del dialogo costruttivo con i docenti», già sentita la protesta per «la situazione economica precaria delle scuole italiane». Quello che colpisce è, invece, la denuncia dei rischi per «la salute mentale degli allievi a causa della pressione scolastica e delle aspettative imposte». Ecco, qui ci siamo. Perché è davvero intollerabile che la salute mentale dei ragazzi sia minata da professori così crudeli da fare magari lezioni, interrogazioni e addirittura compiti in classe con cui cercare di insegnare loro qualcosa che prima non sapevano. Come accettare che gli stessi professori abbiano delle «aspettative», magari da quantificare con voti che premino chi studia e invitino a studiare che ancora non l'ha fatto? Roba da mettere a rischio la salute mentale di un Vittorio Alfieri, pur capace di studio disperatissimo.

Figurarsi i ragazzi del collettivo che denunciano una situazione «ormai insostenibile», tanto da chiedere «un cambiamento nella nostra formazione scolastica». Magari salendo in cattedra e mettendo i professori sui banchi. Ma con o senza interrogazioni?

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