Tante censure, nessuna censura

Aldo Cazzullo mi perdonerà se invado il suo territorio di memorie romane, un'esclusiva che si è guadagnata sul campo, ma esco subito

Tante censure, nessuna censura
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Aldo Cazzullo mi perdonerà se invado il suo territorio di memorie romane, un'esclusiva che si è guadagnata sul campo, ma esco subito. Mi bastano tre minuti, giusto il tempo per recuperare il busto di Marco Porzio Catone detto il Censore (234-149 a.C). Vorrei occuparmi infatti di censura, su cui oggi ci si scanna per stabilire chi la sta turpemente praticando, ed è bene risalire alle origini per capire di che si parla.

La figura del censore deriva dalla necessità del censimento e fu istituita nel 443 avanti Cristo. Non era un esercizio futile e vanitoso dei capi: stabilire quanta fosse la popolazione, come fosse composta e dove si situassero i patrimoni era indispensabile per decidere su tasse ed esercito. Conoscere è indispensabile al potere. Conoscere le cose materiali, però non basta. Un popolo flaccido vale zero. I censori furono perciò elevati anche ad autorità morali, chiamate a custodire i valori che (allora) facevano grande la civiltà dell'Urbe. Catone ne è stato l'espressione massima. Giudicò che Roma per non soccombere avrebbe dovuto ripristinare severi costumi antichi, necessari per distruggere Cartagine, da cui l'ostinato concetto che batté e ribatté sulle palle dei senatori: Carthago delenda est (Cartagine va distrutta). L'ebbe vinta.

Una simile istituzione oggi è propria dei Paesi islamici e degli Stati totalitari. Le autorità morali oggi, almeno in Occidente, non hanno titolo per trasformare le loro valutazioni in obblighi di legge validi per tutti e da far rispettare tramite polizia. Anzi l'unica

censura valida per legge - almeno cosi si deduce dall'articolo 21 della Costituzione italiana - dovrebbe essere esercitata dagli organi dello Stato contro chi impedisce agli altri di esprimere opinioni qualunque esse siano. Fatto salvo il diritto, in casa propria, di decidere chi può parlare o scrivere. Di dire (...)

(...) di sì o di no a oratori o scriventi. Io conosco questi casi di censura palesi. L'impedire di parlare in università, luogo di dialogo culturale implicato dalla parola stessa (universitas, apertura all'universo), rispettando gli ovvi permessi e regolamenti, a David Parenzo alla Sapienza di Roma perché ebreo; a Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, alla Federico II di Napoli in quanto giudicato filo-israeliano. Essere entrati in ambiti organizzati da libere associazioni e aver impedito con manifestazioni di intolleranza l'espressione del ministro Eugenia Roccella sul tema di famiglia e natalità in nome del diritto all'aborto, censurando con la violenza il diritto ad esprimersi contro l'aborto. Il colmo è che i prevaricatori hanno denunciato loro di essere vittima di censura perché non erano stati invitati a strappare il microfono ai tre di cui sopra. Idem a Torino dove Giuseppe Cruciani, intendeva comunicare nel suo spettacolo idee sgradite a fanatici ecologisti.

Il caso di Antonio Scurati è tutta un'altra storia. Ha contestato, insieme allo sciame compatto della sinistra, di essere stato censurato dai capi della Rai perché gli hanno disdetto il contratto all'ultima ora e così in una trasmissione non ha potuto leggere l'intemerata dove, con il pretesto del 25 aprile,

accusava Giorgia Meloni di essere stata complice di Mussolini per il delitto Matteotti.

Dopo di che ad essere stati censurati dalla polizia morale antifascista sono stati i dirigenti della televisione che hanno esercitato un potere legittimo, criticabile certo, ma attinente a una sfera di libertà che riguarda il loro ambito.

Conta il qui e ora, il dove e il come, per stabilire che cosa è intolleranza e che cosa è diritto o meno di non dare spazio a questa o quella voce. Nei comizi politici se un avversario politico pretende di intervenire al microfono è uno che invade il domicilio altrui. La libertà per un direttore di giornale - fatta salva la legge - è di buttare via un articolo, se non rispecchia la linea che ha concordato con l'editore. Dunque non mi scandalizza se il citato Molinari, a costo di bloccare la tipografia, ha «censurato» un articolo che andava contro gli Agnelli.

Perché è inevitabile: i giornalisti in Italia sono i più liberi al mondo di attaccare l'asino dove vuole l'editore che li paga. Per fortuna, da noi, ad un polo editoriale se ne oppone un altro, meglio ancora se sono tre o quattro. La salvezza da Catone il Censore, sono tre o quattro Catoni Censori.

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