Tre numeri contro i gufi

Prendiamo i tre numeri di cui siamo venuti a conoscenza negli ultimi giorni. Il primo riguarda lo spread, il differenziale tra il rendimento dei titoli di stato rispetto al titolo preso come riferimento che è quello tedesco

Tre numeri contro i gufi
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È vero che la statistica è l’unica scienza che permette a esperti diversi, usando gli stessi numeri, di trarne diverse conclusioni ma è altresì vero che tre indizi fanno una prova.

Lo dico perché la versione catastrofista delle opposizioni che racconta di una Italia con un piede già nel baratro, in preda a una ondata di povertà e disperazione sociale sarà anche facile da sostenere in un comizio ma è certamente difficile da documentare anche volendo sterzare numeri e fatti a proprio favore. Prendiamo i tre numeri di cui siamo venuti a conoscenza negli ultimi giorni. Il primo riguarda lo spread, il differenziale tra il rendimento dei titoli di stato rispetto al titolo preso come riferimento che è quello tedesco.

Ieri è sceso a quota ottanta e rotti, un valore che non si registrava dal 2010, ultimo anno di quiete dell’era Berlusconi. Ora, lo spread indica diverse cose ma una in particolare: l’affidabilità di un Paese per gli investitori internazionali. E su questo non ci può essere né trucco né inganno: questo governo avrà certamente le sue pecche ma ha chiuso un lungo periodo in cui l’Italia era ritenuta una sorta di Cenerentola da cui stare alla larga pena lasciarci le penne. Secondo numero: la Commissione Europea, non certo amica nostra, ha dato l’ok alla settima rata da diciotto miliardi del Pnrr ritenendo affidabili i progetti presentati dal governo e il loro stato di avanzamento. Terzo numero: gli ultimi sondaggi confermano lo stato di salute dei partiti che formano la maggioranza, in crescita nonostante il logorio fisiologico che normalmente colpisce chi si trova al governo. Va quindi tutto bene? Non proprio ma certamente non va tutto male e solo facendo ricorso alla propaganda è possibile sostenere il contrario. Ma allora perché insistere con tanto accanimento a raccontare un’Italia che non esiste nella realtà? Una risposta possibile è che sia la Schlein che Conte non parlano al Paese ma soltanto alla loro bolla di elettori, tanti o pochi che siano, sperando così di tenere compatte le fila contro un nemico definito di volta in volta fascista, incapace, pericoloso e pure un po’ puzzone.

Legittimo ma miope nella prospettiva, obbligatoria per provare a vincere

le elezioni, di allargare il consenso anche a strati della società meno ideologici. Per intenderci quelli che Giorgia Meloni ha affascinato nel 2022 e che con intelligenza sa tenersi con i fatti più che usando parole a vanvera.

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