
Lo strumento referendario ha un senso e una utilità quando serve a chiedere ai cittadini il loro parere su temi eticamente divisivi che la politica non riesce a districare, come per esempio è stato per l'aborto e il divorzio. Oppure è necessario quando il Parlamento non trova una maggioranza qualificata per approvare le grandi riforme istituzionali. Per il resto non solo è tempo perso, è pure un passaggio pericoloso: che ne sa la gente comune di regole sugli appalti, di jobs act e questioni simili? Eppure ciclicamente la politica ci chiama alle urne per farsi cavare da noi le castagne dal fuoco. Tra cinque giorni chi vorrà potrà andare a votare i cinque referendum proposti dalla sinistra su cittadinanza, jobs act, indennità di licenziamento nelle piccole imprese, contratti di lavoro a termine e responsabilità negli appalti. Perché il risultato sia valido sarà necessario che i votanti, favorevoli o contrari che siano, superino il cinquanta per cento degli aventi diritto. E su questo è scontro perché il centrodestra sta dando chiaramente l'indicazione di disertare le urne. Giorgia Meloni ieri ha annunciato che per rispetto, visto il ruolo che occupa, andrà al seggio ma non ritirerà le schede, prassi prevista dalla legge e che equivale all'astensione fisica. A sinistra si sono indignati: «vergognoso», «prende in giro gli italiani» sono stati i commenti dei leader della sinistra, dimentichi che lo strumento dell'astensione è stato da loro usato a piene mani. Lo hanno sostenuto in passato ben due presidenti della Repubblica, un segretario del Pd e pure un leader della Cgil.
«Ogni elettore può scegliere cosa fare: votare, non votare, votare sì o no» dichiarò nel 1999 l'allora vicepremier Sergio Mattarella contrario al referendum abrogativo della legge elettorale; nel 2003 l'invito a disertare le urne di un referendum proposto da Rifondazione Comunista furono i segretari dei due partiti della sinistra, Francesco Rutelli (Margherita) e Piero Fassino (Ds) nonché il segretario della Cgil Sergio Cofferati; nel 2016 l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sul referendum abrogativo sulle trivelle fu chiaro: «Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi». Non penso serva aggiungere altro.