
«Io sono la reincarnazione di Alessandro Magno» avrebbe detto Elon Musk a un allibito Derek Proudian, investitore di una delle prime start-up di Musk, la Zip2, la cui principale mission era il mettere online una directory che funzionasse da guida telefonica. «Siamo di fronte a uno convinto di essere Cesare o Napoleone, che pensa di non poter sbagliare», parole di Ross Gerber, azionista di lungo corso di Tesla e capo della Gerber Kawasai Wealth Management, il quale ebbe un duro scontro con il patron della società di auto elettriche finendo bloccato su X.
Entrambe le frasi sono contenute in Elon Musk hybris maxima di Faiz Siddiqui, che Sperling & Kupfer pubblica in questi giorni. Siddiqui, giornalista del Washington Post, è un esperto di Tech e ha seguito le vicende, umane e professionali, di Musk. Con sguardo lucidamente critico. Troppo critico, sosterrebbero i fan di Musk, i quali da sempre imputano al Washington Post un astio nei confronti del magnate di origini sudafricane che originerebbe dal dualismo feroce tra Jeff Bezos, fondatore di Amazon e proprietario del Post, e lo stesso Musk. L'attuale capo del D.O.G.E. in realtà ha esplicitato questo suo pensiero in maniera scarsamente diplomatica, inviando una e-mail allo stesso Siddiqui che pochi giorni prima lo aveva contattato per avere delucidazioni a proposito di una sua inchiesta giornalistica: «salutami il tuo burattinaio», gli rispose, laconico. Nemmeno fosse un post su X. A prescindere dall'ipotetico tifo di parte, il libro è una lettura preziosa che investiga senza sconti i lati più saturnini del carattere di Musk e che rappresenta un notevole compendio alla ponderosa biografia curata da William Isaacson, uscita nel settembre 2023 anche in Italia, per Mondadori.
Il notevole iato temporale trascorso tra i due volumi rende possibile, grazie a Siddiqui, gettare uno sguardo sull'evoluzione più recente di Musk; e di cose in questi quasi due anni ne sono accadute. Innanzitutto, il perfezionamento della mutazione politica di Musk, da vecchio elettore del Partito Democratico, aveva sostenuto la Clinton e poi votato pure per Biden, a sostenitore ultra-Maga di Trump. Senza dimenticare poi la assoluta centralità del D.O.G.E, vera ossatura della nuova forma di governo degli Usa, sempre più simile a una start-up della Silicon Valley applicata alla sfera pubblica. Il saggio Emil Cioran, in una intervista con Jean-Francois Duval, oggi raccolta tra le pagine di Un apolide metafisico (Adelphi), ebbe a dire di aver perso qualunque interesse per i romanzi e di leggere solo memorie, biografie, libri di esistenze. Difficile dargli torto, specie in questa epoca in cui imprenditori sospesi tra tentazioni faustiane e carattere da troll della Rete snocciolano vite che definire interessanti sarebbe troppo riduttivo. E non solo per il loro oleografico interesse per una storia mai davvero esistita, da video-game, d'altronde Musk e Zuckerberg ebbero a lasciar intendere di volersi scazzottare dentro il Colosseo, o per le altisonanti dichiarazioni di immedesimazione in questo o quel personaggio storico, ma soprattutto perché uno come Musk ormai nei fatti esercita il potere governativo. Ed è quindi di interesse mondiale addentrarsi nelle bizzarrie caratteriali e nei meandri più peculiari, per certi versi preoccupanti, di un individuo che sembra oscillare tra moralità alla Ayn Rand, richiamata più volte nel libro, e contegno espressivo da utente di un qualche forum del web.
D'altronde, come ricorda Siddiqui, dopo la acquisizione di Twitter e la metaforica carneficina di licenziamenti, chi non rientrava nelle esatte simpatie del magnate veniva da questi bloccato oppure finiva stritolato dall'algoritmo e i suoi post perdevano di viralità. Lo stesso Gerber, che ancora oggi nel 2025 continua a chiedere la rimozione di Musk da CEO di Tesla, fu destinatario di questo trattamento.
Come tutte le persone geniali, e Musk è certo geniale, sovente l'eccessiva confidenza nei propri mezzi porta a commettere grossolani errori di valutazione. E così ad esempio uno degli storici talloni d'Achille del magnate è proprio la comunicazione, spesso impulsiva, incontinente. Ha fatto storia il suo famigerato post su Twitter a proposito della ipotetica vendita di Tesla al valore di 420 dollari ad azione; una boutade, visto che 420 è il numero simbolico delle campagne di legalizzazione della marijuana negli Usa, ma una boutade nelle mani di un amministratore delegato il minimo che possa creare è panico tra gli azionisti e l'occhiuto interesse delle autorità di vigilanza, che intervennero. Senza dimenticare l'altrettanto famigerato spinello fumato nel podcast di Joe Rogan o il post su X contro l'Anti-Defamation League, con tanto di minaccia di azione legale, perché a suo dire i gruppi di attivisti ebraici gli avrebbero fatto perdere sponsor e pubblicità lasciando intendere che X fosse antisemita. L'ascia è poi stata sotterrata, e in varie occasioni l'ADL ha preso le parti di Musk.
L'aspetto senza dubbio più interessante del libro è l'analisi della evoluzione, altri direbbero involuzione, politica di Musk. Cosa lo ha reso un fiero sostenitore di Trump e un alfiere internazionale delle destre più o meno radicali? Molto, secondo Siddiqui, va ricercato nel periodo della pandemia, delle politiche adottate e di quanto queste si siano negativamente riverberate, almeno secondo Musk, sulle sue realtà societarie. Nemico di qualunque avversione al rischio, vedeva come fumo negli occhi quelle misure di precauzione.
D'altronde lo scorso anno Peter Thiel ha ricordato come a Musk vorrebbe dedicare un intero capitolo del libro che ha in mente di scrivere sulla storia di PayPal; quel capitolo, ha detto Thiel, sarebbe tutto incentrato sulla totale assenza del concetto stesso di rischio nella mente di Musk.
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