Letteratura

L'eterno ritorno degli Imperi

Mentre i destini del mondo sono decisi tra Pechino e Washington, quattro potenze continuano la loro politica come se la Storia non fosse mai davvero cambiata. Nel libro "Imperi (in)finiti", Lorenzo Vita descrive questa lotta degli antichi imperi contro il destino

L'eterno ritorno degli Imperi

Turchia, Russia, Francia, Gran Bretagna: quattro nazioni che nel corso della storia si sono pensate come imperi e che anche oggi non fanno eccezione nella loro condotta. Quattro potenze che dipingono con retorica missionaria, slancio ideale e grandi parole le loro strategie geopolitiche, richiamandosi, in ogni modo, al passato. Proiettarsi nella gloria passata per sognare rilanci futuri e svincolarsi da un presente che le vede soci di minoranza, per quanto depositari di quote tutt'altro che ininfluenti, dei grandi scenari globali. Questo il filo conduttore dell'analisi di Lorenzo Vita nel saggio Imperi (in)finiti, edito da Historica - Giubilei Regnani, che nel sottotitolo già presenta la chiave di lettura interpretativa: "Russia, Turchia, Francia e Regno Unito in lotta contro il destino".

Imperi (In)finiti

Già, perché è il destino che vuole queste quattro nazioni pensarsi, inevitabilmente, come imperi. Ce ne rendiamo drammaticamente conto quando guardiamo all'aggressione russa all'Ucraina. La Russia, impero a trazione militare, ha usato la retorica dell'era zarista per giustificare l'invasione della nazione-sorella, parlando di una comunità di destino. Ma non solo nell'atto di Vladimir Putin si può percepire la forza del richiamo dell'epopea imperiale del passato verso gli Stati di oggi. Essi "hanno partecipato da sempre ai destini dell'Europa" e "non si sono mai definitivamente disinteressati al conflitto". Vita ricorda Russia, Turchia, Regno Unito e Francia come "potenze sopravvissute allo scorrere dei secoli" e che mai hanno cessato di "disegnare delle aree su cui imporre la propria autorità, stabilire alleanze e ledere altri governi, intessere trame diplomatiche e combattere", più o meno direttamente, "guerre nei diversi angoli del mondo" accomuna le potenze in questione.

Non sembri, in quest'ottica, esagerata la comparazione tra la Russia che ha portato questo concetto alle più estreme conseguenze lanciando con mezzi del XXI secolo una guerra da XX secolo con obiettivi da XIX, ovvero la mera espansione territoriale. Mosca è stata coinvolta anche nel conflitto siriano alimentato dalla Turchia contro Bashar al-Assad e su cui, oltre ovviamente agli Usa, hanno messo le mani anche Francia e Regno Unito, protagoniste nel 2011 dell'avventura libica che fu il ritorno degli imperi europei in Nordafrica dopo lo schiaffo di Suez del 1956.

Il vecchio bipolarismo, quello Usa-Urss, ha messo all'angolo i tre imperi alleati della Nato, Turchia, Regno Unito e Francia; quello nuovo, imperfetto e incompleto, tra Washington e Pechino lascia attorno ai due imperi universali, la talassocrazia a stelle e strisce e la potenza geoeconomica cinese, spazi di manovra importanti. La politica, si sa, ha orrore del vuoto, specie quella internazionale. Nel mondo "multipolare" (ma sarebbe meglio dire "apolare") la Russia, dopo aver giocato a lungo in contropiede, è alla piena offensiva per legittimarsi come potenza imperiale e, con spinta metternichiana, tornare alla pari nella percezione con Cina e Usa. Obiettivo perseguito a fronte di qualsiasi realistica dinamica dettata da peso economico, demografia, sviluppo tecnologico.

Imperi (In)finiti

La Turchia di Erdogan, invece, usa strumentalmente, a targhe alternate, il richiamo all'Impero ottomano, il panturchismo di cui fu alfiere Mustafa Kemal Ataturk e la spinta sull'Islam politico, visioni del mondo non complementari pienamente tra loro, per legittimare una grand strategy che la vede ovunque. Attiva tra la Libia e il Corno d'Africa, intenta a inserirsi nei Balcani, proiettata nell'Asia centrale, capace di strizzare l'occhio anche all'Afghanistan, importante per la Nato, per le rotte del gas russo e le Vie della Seta cinesi, la Turchia, pur perennemente indebitata e in bolletta, pensa da grande potenza nelle pieghe del disordine globale.

La Francia non cessa di pensarsi attore globale, e Vita lo sottolinea. Emmanuel Macron, presidente-filosofo con una malcelata ammirazione per Charles de Gaulle e Napoleone Bonaparte, tratta con Vladimir Putin prima della guerra in Ucraina "da imperatore a imperatore", immagina l'egemonia europea con l'autonomia strategica, proietta Parigi tra l'Africa e l'Indo-Pacifico, punta sull'uso politico del capitalismo transalpino. Mentre, scrive Vita, "il suo impero sta regredendo, dall'Europa al Medio Oriente fino all'Africa" la Francia "ha bisogno di non cedere: non può ammettere di perdere", la France eternelle che ha fatto della missione civilizzatrice e della grandeur la giustificazione della sua strategia. E nonostante picchi di velleitarismo, anche la presidenza Macron è, nei limiti del possibile, imperiale: tra potenziamenti delle forze armate, richiami universalistici e obiettivi ambiziosi per Parigi è di questa visione che la Francia e la sua burocrazia dominante continuano a vivere.

Il Regno Unito vive, nell'era post-Brexit, del richiamo alla strategia della Global Britain come versione contemporanea e in scala ridotta dell'area di influenza mondiale di Londra. Il suo architetto, l'ex premier Boris Johnson, ha ammesso già nel 2016, da Ministro degli Esteri, l'avvenuta traslatio imperii nell'Anglosfera da Roma (Londra) a Costantinopoli (Washington), accelerata dalla decisione di Winston Churchill di firmare, in piena Seconda guerra mondiale, la Carta Atlantica con gli Usa che di fatto apriva la strada alla consegna a Washington delle chiavi dell'egemonia mondiale e alla decolonizzazione in cambio della sconfitta delle potenze dell'Asse. Ma ha anche messo in campo visioni prospettiche degne di nota. Dopo aver vinto le elezioni a valanga nel 2019, Johnson ha rivolto un appello alla nazione e al suo governo per costruire negli anni a venire un Regno Unito “veramente globale nella sua portata e nelle sue ambizioni”.

La pandemia di Covid-19 ha sicuramente scombinato i piani ma non ha frenato l’elaborazione strategica del governo di Sua Maestà che sono stati plasmati dalla guerra in Ucraina. Oggi "impero" per Londra significa accordi commerciali privilegiati con le ex colonie; significa armare l'Ucraina per fermare Mosca in una riedizione del "Grande Gioco" ottocentesco; significa valorizzare Londra come centro finanziario e attrarre le migliori menti per rendere il Regno Unito superpotenza tecnologica e scientifica; significa, in ultima istanza, permettere agli inglesi di plasmare a loro misura l'impero interno a scapito delle volontà centrifughe di nordirlandesi e scozzesi.

Per Londra il vero metro del successo sarà capire se potrà scampare al trend declinista che contraddistingue l'Europa continentale. Per Parigi la capacità di mettere in campo l'autonomia strategica europea sotto l'ombrello atomico francese sganciandola dalle strutture atlantiche. Per la Turchia la conquista di uno spazio d'influenza certo e di un ruolo di crocevia tra Medio Oriente, Asia profonda e Mediterraneo. Per la Russia evitare di morire di consunzione di fronte allo scorrere inesorabile del tempo.

Tutte e quattro le nazioni studiate da Vita, che con la freschezza dell'approccio giornalistico divulga concetti dalla grande profondità storiografica, vivono in bilico sul pericoloso crinale tra realismo e velleitarismo, tra destino e costrizioni del presente. In passato hanno già dovuto rompere ambiguità di questo tipo. Londra e la Turchia scelsero di "tuffarsi" negli Oceani e nel Mediterraneo diventando potenze navali. La Francia giocò due volte, con Luigi XIV e Napoleone, una grande strategia ambiziosa a livello europeo. La Russia si è "europeizzata" con Pietro il Grande e ha provato la carta dell'egemonia europea con lo Zar Alessandro dopo le guerre napoleoniche e con Stalin dopo la Seconda guerra mondiale. A volte questi calcoli sono stati ben ponderati, a volte no. Ma anche di fronte ai fallimenti più grandi gli imperi, oggi diventati repubbliche o monarchie costituzionali, sono rimasti tali. Il saggio di Vita insegna a pensare storicamente il presente. A leggere i grandi trend storici dietro le decisioni politiche cogenti. A ricordarci che l'idea di destino non è assente dai calcoli delle potenze.

E spesso finisce, paradossalmente, per non fare il loro vero interesse, specie quando i protagonisti sono gli imperi (in)finiti nelle ambizioni pur essendo finiti, o perlomeno enormemente vincolati, nella potenza e nelle risorse a disposizione.

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