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Quando la Fallaci denunciò l'alleanza sinistra-islam

Oriana si indignò per i cortei dove si bruciavano le bandiere di Israele. Per lei non era una novità...

Quando la Fallaci denunciò l'alleanza sinistra-islam

Quando, dopo l'11 settembre, Oriana Fallaci pubblica La rabbia e l'orgoglio, molti fingono di assistere alla detonazione improvvisa di un'isterica reazionaria. È una comoda scorciatoia. Archiviare tutto come delirio senile invece di guardare ciò che la Fallaci descriveva da almeno trent'anni.

La Trilogia nasce dai reportage dalle basi dei fedayn, dagli uffici blindati dei rais, dalla Beirut in fiamme, dalle moschee saudite durante la Guerra del Golfo. E, parallelamente, dalle piazze europee dove il vecchio antisemitismo riemergeva travestito da antisionismo e cattocomunismo. Nel 2002, la Fallaci denunciava su Panorama il risorgente antisemitismo europeo e non faceva che tirare le somme: i cortei no global con bandiere palestinesi al vento e quelle israeliane in cenere; la violenza antiebraica in Francia, Germania, Olanda; l'ambiguità della Chiesa; l'informazione filopalestinese; la sinistra antifascista che, paradossalmente, dimentica proprio i valori della Resistenza (nelle cui fila lei, Oriana, aveva combattuto da adolescente, a Firenze, come staffetta).

Per la Fallaci, il nuovo antisemitismo non aveva bisogno della camicia bruna: bastava chiamarlo «antisionismo», indossare la kefiah e sventolare la bandiera della pace. Il nuovo antisemitismo era facile da individuare ma difficile da combattere perché i razzisti veri utilizzavano (e utilizzano) il linguaggio dell'antirazzismo. Israele è «razzista» nei confronti dei palestinesi, fino al «genocidio». Israele è lo Stato degli ebrei. Quindi gli ebrei sono razzisti ed eredi del vecchio colonialismo europeo. È un falso sillogismo. Ma funziona e scatena l'antisemitismo. Così l'Europa diventa un posto sempre meno sicuro per gli ebrei, un posto dove associazioni per la pace bruciano la bandiera di Israele nelle piazze, dove la Brigata ebraica viene cacciata dai cortei del 25 aprile. L'Europa, che aveva giurato mai più, si scopre di nuovo incapace di proteggere i suoi ebrei. Fallaci la definisce «un pozzo di Ponzi Pilati»: una macchina per lavarsi le mani.

La profezia della Fallaci nasce da una lunga discesa nel cuore del Medio Oriente. Prima di tutti, aveva indicato dove stavamo andando e chi, ancora una volta, avremmo lasciato solo.

Quando Fallaci entra nelle basi di Al Fatah alla fine degli anni Sessanta, non è ancora la polemista della Trilogia. È la cronista dell'Europea che si porta dentro la memoria della sua maestra elementare, ebrea e deportata, Laura Rubicek. Riconosce le ragioni degli uni e degli altri: diritto degli ebrei a una patria dopo la Shoah, diritto dei palestinesi a non essere costretti alla diaspora. Ma la linea di demarcazione è netta: il terrorismo. C'è un passaggio scioccante nel reportage a puntate. È l'incontro con Rashida Abhedo, la «donna della strage», ex insegnante, colta, socialista, che fa esplodere barattoli di marmellata in un supermercato di Gerusalemme uccidendo civili e bambini. È lo choc che smaschera l'ideologia travestita da giustizia. La logica è gelida: «Se muoiono i loro bambini, la colpa è loro» Qui l'islam non c'entra ancora: i fedayn hanno Marx, Guevara e Mao sugli scaffali. Allah è un'ombra. Ma il meccanismo mentale è già definito: la causa «giusta» autorizza tutto.

Il passaggio decisivo arriva con la Rivoluzione iraniana del 1979. L'Iran di Khomeini è per Fallaci «il più allucinante balzo all'indietro» del secolo: genocidio dei curdi, abolizione delle libertà, restaurazione di codici vecchi di 1400 anni, lapidazioni, fucilazioni, teocrazia integrale. Quando Khomeini afferma che «l'islam è tutto», la Fallaci capisce che la fede si è fatta regime totalitario. La religione si fa Stato, legge, morale, identità e confine. In più, l'idea che l'Occidente corrompa i giovani musulmani con «alcool, musica e donne scoperte» fa intravedere la frattura culturale radicale: l'islam politico non vuole convivere, vuole sottrarsi all'influenza occidentale. Anche quando si sviluppa in Europa. È qui che nasce, nella sua lettura, la crociata alla rovescia: l'offensiva di un islam politicizzato contro la civiltà occidentale.

In questo contesto, le interviste a Golda Meir e Ariel Sharon non sono solo pezzi di storia israeliana, ma onesti tasselli della diagnosi. Meir riconosce errori e ambiguità, discute di profughi e bombardamenti, ma individua la vera falla: l'Europa è troppo indulgente con i terroristi, li tollera nelle proprie capitali, crede di comprarsi una tregua che non durerà. Il boomerang è inevitabile. Con Sharon, la Fallaci è implacabile: accusa, incalza, mette il dito su Beirut, Sabra e Chatila. Sharon risponde colpo su colpo. Ma mentre incalza Israele, la Fallaci osserva un'Europa in cui il terrorismo palestinese gode di attenuanti infinite e Israele di colpe presunte.

Il Libano degli anni Ottanta, che darà vita al romanzo Insciallah, diventa per lei il laboratorio del futuro: guerra confessionale incontrollabile, milizie islamiche più fanatiche, potenze esterne che usano il Paese come campo di battaglia, contingenti occidentali incapaci di distinguere amici e nemici. Lì Fallaci intuisce che la prossima grande frattura non sarà politica o economica, ma culturale e religiosa: tra chi mangia maiale e chi no, chi beve vino e chi lo proibisce, chi recita il Pater Noster e chi invoca Allah.

La Guerra del Golfo e l'articolo sulla «guerra invisibile dei mullah» completano il mosaico. In superficie, tutto è semplice: Saddam invade il Kuwait, gli Stati Uniti lo respingono, l'Arabia Saudita è alleata leale. In profondità, Fallaci vede altro. Nelle moschee saudite si predica contro gli americani, non contro Saddam. Un notabile le dice apertamente: questa non è una guerra tra Iraq e coalizione, è una «crociata tra noi e voi». Siamo al primo round.

Parallelamente, l'Europa vive la sua metamorfosi.

Nel 1991 a Marsiglia un abitante su quattro è musulmano, i mercati assomigliano a suk maghrebini, le tensioni crescono, la destra specula, le autorità tentennano persino sulla costruzione della moschea.

E gli intellettuali predicano la favola della «accettazione reciproca dello straniero»: una formula astratta che non tiene conto del fatto che, altrove, l'Occidente è dichiarato come inevitabile nemico.

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