Alle radici profonde e dolorose della guerra "eterna"

La domanda fondamentale che lo psicoanalista si pone, una volta normalizzata la guerra, è come potrebbe essere così "normale, se non fosse in sintonia con qualcosa di presente nell'anima umana"

Alle radici profonde e dolorose della guerra "eterna"
00:00 00:00

Un terribile amore per la guerra (Adelphi, 2004) di James Hillman è un libro, appunto, terribile. Immersi, circondati da guerre, è interessante, e persino istruttiva, l'analisi dello psicologo junghiano. Non ci illudiamo, sostiene, la guerra è normale. Cioè è la norma, è una costante dell'uomo.

«Questa routine della guerra va avanti da quando l'uomo ha memoria. Nei 5600 anni di storia scritta, sono registrate 14600 guerre: una media di due o tre per ogni anno di storia umana». Certo la guerra può apparire «inumana»: Orwell confessò di non riuscire a sparare ad un uomo mezzo vestito che si teneva con una mano i calzoni, perché non poteva ritenerlo un fascista ma semplicemente un uomo. Eppure nelle sole guerre del Ventesimo secolo sono morti non meno di 62 milioni di civili. La crudeltà, lo stupro, non sono una prerogativa delle vecchie guerre, sono la guerra.

La domanda fondamentale che lo psicoanalista si pone, una volta normalizzata la guerra, è come potrebbe essere così «normale, se non fosse in sintonia con qualcosa di presente nell'anima umana», per provare a comprenderla dobbiamo «scavare in profondità, in una sorta di archeologia della mente». Non si tratta di pura aggressività o di istinto di autoconservazione. La guerra è una passione archetipica, un'esperienza che mobilita energia, intensità e senso di scopo, risvegliando parti profonde dell'animo. «Tendiamo a ridurre il significato della guerra alla spiegazione delle sue cause», ma in fondo ha ragione Tolstoj in Guerra e pace: le cause erano innumerevoli, ma nessuna può essere considerata la causa.

Hillman non è un nevrotico perché studia le nevrosi, non è uno psicopatico, perché cura le devianze, non è un guerrafondaio perché analizza la guerra come nessuno ha mai fatto. Ha necessità di comprendere, non di giustificare. L'archetipo

della guerra, per Hillman, trascende la politica e ignorare la dimensione psichica, ancestrale, individuale della pulsione alla guerra, non aiuta a prevenirla: la vera condizione di anormalità è piuttosto la pace.

Il libro di Hillman è dunque terribile, ma è anche uno sforzo non compiaciuto di onestà, verrebbe da dire, psicoanalitica: occorre onorare, riconoscere questo archetipo.

Trovando semmai canali alternativi con cui poterlo sfogare.

La lettura di Hillman rompe la storiografia marxiana determinista e materialista dei conflitti, ma in una certa misura confuta anche la lettura spirituale che dei grandi conflitti del Novecento faceva Luigi Einaudi.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica