La Spada e il Grifone, torna il secondo capitolo della trilogia del Cavaliere del Grifone

Prende il via il secondo capitolo della trilogia dedicata al Cavaliere del Grifone, un grande romanzo storico che ci conduce nel cuore della Toscana medievale, tra guerre, alleanze e ideali cavallereschi messi alla prova dal fuoco della storia. Ne abbiamo parlato con l'autore Alessandro Spalletta

La Spada e il Grifone, torna il secondo capitolo della trilogia del Cavaliere del Grifone

Un viaggio nel cuore del Medioevo toscano, tra battaglie, alleanze e ideali cavallereschi. Con La Spada e il Grifone, secondo capitolo della "Saga del Grifone" di Alessandro Spalletta, il Cavaliere del Grifone torna a impugnare la spada, pronto a scrivere una nuova, avvincente pagina della storia medievale italiana. Siamo nel 1312: mentre l’imperatore Arrigo VII avanza con le sue truppe verso il centro della penisola, la Toscana è costretta a mettere da parte rivalità secolari e a stringere alleanze inaspettate per sopravvivere all’urto dell’Impero.

In questo scenario segnato da tensioni politiche, tradimenti e scontri epici, Bino degli Abati del Malia si ritrova al centro di una rete di compromessi e sacrifici. Il romanzo, ambientato tra Siena e Grosseto, ci riporta con forza nell’epoca dei Comuni, quando l’onore si misurava sul campo di battaglia e le alleanze si firmavano con il sangue. Ne abbiamo parlato con l'autore.

Siamo arrivati al secondo capitolo della trilogia, cosa devono aspettarsi i lettori?

"I fuochi d’artificio! A parte gli scherzi, direi: emozioni intense. La parte più affascinante della vita dei protagonisti inizia proprio con “La Spada e il Grifone”, il secondo capitolo della trilogia. La Saga del Grifone è basata su una storia vera e in questo secondo libro provo a portare il lettore nella Toscana del XIV secolo, insieme al capitano del popolo di Grosseto, Bino degli Abati del Malia, intrepido condottiero capace di realizzare imprese impossibili. Mi auguro di cuore di essere riuscito nell’impresa, perché la storia di Bino merita proprio di essere conosciuta".

Ha adottato uno stile narrativo particolare per riflettere l’epoca medievale o ha privilegiato un linguaggio moderno per avvicinare il lettore?

"Ho cercato di coniugare entrambe le scelte. Credo sia importante ricreare un’atmosfera coerente con il periodo storico anche attraverso il linguaggio; allo stesso tempo ritengo anche che sia preferibile utilizzare un registro e soprattutto un ritmo, in particolare nei dialoghi, che renda più attuale la scrittura. Il motivo è semplice: se si utilizzano parole eccessivamente ricercate, si corre il rischio di far perdere di vista al lettore l’umanità di questi personaggi, di farglieli percepire come un qualcosa di distante rispetto a noi".

Quanto lavoro di ricerca storica c’è dietro questo libro? Ci sono fonti che l’hanno particolarmente colpita?

"Mi sono impegnato molto nella ricerca storica anche se, devo ammettere, non è stato un lavoro particolarmente faticoso, se non per l’aspetto linguistico. Si deve fare un po’ l’abitudine, infatti, all’italiano arcaico usato nella maggior parte delle fonti più antiche; però amo la storia e per me è una continua scoperta e un piacere addentrarmi tra pagine scritte secoli e secoli orsono. Una fonte che mi è rimasta particolarmente impressa è la cronaca di Giovanni Villani, un’opera superba che abbraccia un lungo periodo ed è ricchissima di dettagli".

La sua narrazione intreccia politica, guerra e sentimenti personali. Da dove nasce questo equilibrio tra azione e introspezione?

"Dal desiderio di trovare o, per meglio dire, interpretare le ragioni profonde che spingono gli uomini e le donne a comportarsi in un certo modo. Credo che un romanzo storico dovrebbe penetrare nell’intimo. Non dovrebbe soltanto riportare fatti ed eventi, dovrebbe anche esplorare l’animo dei personaggi e scovare quali emozioni e quali desideri li spingono verso le azioni che compiono. In particolare, con il mio protagonista, ho cercato di andare oltre la mera figura storica. Le fonti che lo riguardano direttamente purtroppo sono scarse e non vanno oltre il riportare le azioni incredibili di cui è stato capace; tuttavia, questa scarsità è stata anche un bene, perché mi ha permesso di provare a ricostruire l’uomo oltre la figura storica.

La sua vicenda, narrata nella Saga del Grifone, non è solo una cronaca di battaglie e conquiste politiche, ma un viaggio intimo di crescita, di perdita e di rinascita. La guerra, la politica e le dinamiche sociali sono il palcoscenico su cui si svolgono le vicende, ma il vero dramma e la vera evoluzione avvengono nell'animo dei personaggi. Credo che sia proprio l'interazione costante tra l'esterno e l'interno a creare quell'equilibrio che, spero, renda la narrazione più ricca e verosimile".

Quanto è stato difficile rendere credibili i personaggi in un contesto medievale senza cadere negli stereotipi?

"Innanzitutto permettetemi di ringraziare, perché la domanda implicitamente mi riconosce il merito di aver evitato degli stereotipi. Confesso comunque che non è stato particolarmente difficile evitare i luoghi comuni più scontati che spesso vengono associati al medioevo. Si tratta di un’epoca affascinante che purtroppo porta lo stigma dei “secoli bui”, ma buona parte di questi cliché sono invenzioni, come il famigerato “ius primae noctis”. Sono un grande fan del prof. Alessandro Barbero che, è proprio il caso di dirlo, combatte questa crociata in favore del medioevo da molti anni e con impareggiabile abilità. Quindi, spero di averlo ascoltato con attenzione e di essere riuscito a mettere in pratica i suoi insegnamenti, evitando fastidiosi e anacronistici stereotipi".

Il romanzo accenna all’influenza dei Medici: è un’anticipazione del loro potere o una scelta simbolica?

"Entrambe, anche se, confesso, è più che altro una scelta simbolica. Ad ogni modo, non è una mia invenzione: già all’epoca de “La Spada e il Grifone”, agli inizi del XIV secolo, la famiglia Medici stava acquisendo ricchezza e influenza. Il personaggio di Lippo de Medici, gonfaloniere di Firenze, ha subito solo due piccole variazioni nel romanzo: la prima riguarda il nome, perché in realtà si chiamava Bonino, Lippo era probabilmente suo padre, e per una scelta stilistica ho preferito invertire i due nomi; la seconda variazione riguarda il periodo in cui era in carica, che è stato allungato di qualche settimana per aggiustare meglio la cronologia del romanzo. Bonino di Lippo de’ Medici è stato quindi effettivamente gonfaloniere di Firenze, una delle cariche più importanti e prestigiose della Repubblica: con la sua presenza nel romanzo si ammicca al potere futuro della famiglia, senza però prendersi licenze particolarmente audaci".

Secondo lei, ci sono delle somiglianze tra le dinamiche di potere del Trecento e quelle dell’Italia contemporanea?

"Sì, credo proprio di sì. La natura umana non è cambiata così radicalmente, sebbene siano passati più di sette secoli. A volte ci piace far finta che sia così e affermare, come dicevamo prima, che era il medioevo l’epoca buia, sostenendo così di riflesso la nostra maggiore illuminazione. L’ambizione e la sete di potere però sono tutt’ora predominanti nella scena politica ed economica, come lo erano all’epoca di Uguccione della Faggiola, sia in Italia che nel resto del mondo. I nostri politici contemporanei non difettano in spregiudicatezza, così come abbondava ai tempi di Castruccio Castracani.

Per fortuna, sotto molti aspetti, sono cambiati i modi in cui queste pulsioni si realizzano. Non è un cambiamento da poco, per carità, ma purtroppo non è nemmeno così diffuso come ci piacerebbe credere. Siamo felici che nessun signore della guerra saccheggi più il contado toscano, in casa nostra, ma possiamo forse dire che nel mondo del XXI secolo queste pratiche non esistono più? Che non c’è più nessuno che si lancia in guerre di conquista e sfruttamento? Non è il medioevo ad essere un’epoca buia: di oscuro ci sono soltanto alcuni lati dell’animo umano, che purtroppo non si sono schiariti con il passare dei secoli".

Cosa spera rimanga nel lettore dopo l’ultima pagina del libro?

"Innanzitutto, un senso di speranza e resilienza. Attraverso le vicende di Grosseto e dei suoi abitanti, ho voluto mostrare come, anche di fronte a una forza soverchiante e a situazioni che sembrano senza speranza, la determinazione e la volontà possano fare la differenza. In secondo luogo, vorrei che rimanesse la consapevolezza che la libertà è un bene che non ha prezzo e che vale la pena combattere per essa. La storia di Grosseto è quella di un popolo che, dopo anni di oppressione, si ribella e lotta per la propria indipendenza, anche a costo di grandi sacrifici. Credo che questo messaggio sia senza tempo e spero che risuoni nel cuore di chi legge".

Se potesse incontrare uno dei suoi personaggi, quale sceglierebbe

e cosa gli chiederebbe?

"Sembrerà scontato ma non ce la faccio a farne a meno: sceglierei Bino. Gli chiederei di insegnarmi a credere così intensamente in un sogno da realizzarlo anche quando sembra impossibile".

La spada e il Grifone

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