
Quest'anno il festival èStoria di Gorizia, giunto alla XXI edizione, è tutto centrato sul tema delle città e del loro sviluppo che ha influenzato lo sviluppo della civiltà (e già dall'etimo il rapporto è chiaro) umana. Lo sviluppo cittadino dell'Europa e di tutto il bacino del Mediterraneo occidentale ha un marchio di fabbrica preciso: quello dell'Impero romano. Che per molti versi dopo aver inventato la città europea ha anche inventato il concetto di cittadinanza moderno. Tutti temi di cui a Gorizia parlerà oggi (ore 15, Sala storica Ugg) Livio Zerbini, professore di Storia romana all'università di Ferrara e autore del saggio appena pubblicato da Il Mulino Le vie delle città romane (pagg. 246, euro 16). Lo abbiamo intervistato per dipanare il filo rosso che parte dalle città antiche e porta al network urbano del presente.
Proferssor Zerbini, la civiltà cittadina dell'Europa occidentale è stata per molti versi inventata dai romani. Come?
«I romani hanno concorso in maniera determinante per rimodellare tutta l'Europa, hanno esportato un modello di città che poi si ritrova dappertutto. I romani avevano un modello basato sulla centuriazione, sul cardo e il decumano. Era derivato dai greci e dall'urbanista Ippodamo da Mileto ma sono stati i romani a fondare su quel modello tutte le città dell'Europa occidentale. E soprattutto hanno portato assieme alla città l'idea di cittadinanza».
Cos'è la cittadinanza per i romani? Il tema di chi può diventare o no cittadino è rilevante anche ai giorni nostri...
«La cittadinanza per i romani è qualcosa di molto inclusivo per il mondo antico. La potevano acquisire anche gli schiavi che diventavano liberti e i loro figli diventavano cittadini de optimo iure. Questo era impensabile ad esempio per il mondo greco. Però per ottenere la cittadinanza era fondamentale accogliere in toto gli usi e i costumi romani, era una condicio sine qua non. Ora stiamo a discutere dei cinque o dieci anni, l'acquisizione era un tema decisivo, ci furono anche lotte per l'acquisizione ma non ci fu mai dubbio sul fatto che per diventare cittadini romani bisognava adottare in pieno gli usi e i costumi della città. Forse dovremmo avere l'umiltà di prendere a modello Roma per la soluzione di problemi non tanto diversi dai nostri».
Le città romane sono un sistema integrato. Sono città in rete...
«Una rete che riguardava tutto il territorio. Ad un certo punto i romani sviluppano una visione organica, una progettualità di lungo periodo. Territorio e città si parlavano, la città romana nasce come centro di servizi. La città era poi integrata in un sistema viario. Il sistema viario è il monumento più trascurato del mondo romano, il meno capito. Costruirono circa 120mila chilometri di strade. Il nostro sistema viario spesso le ricalca ancora. Questa capacità di pianificare fa parte del nostro Dna, anzi arrivo a dire che l'abbiamo anche persa un po'. C'è la ricerca di un collega danese che dimostra che molte città sono state posizionate così bene che ancora oggi quei siti risultano essere tra i più adeguati allo sviluppo urbano».
Tutti noi abbiamo in mente un modello di città romana: il foro, il circo, la pianta quadrata, molto marmo... Però questo non è il modello della Roma più antica. Quando nasce esattamente?
«Roma nasce dall'unione di diversi villaggi. Il modello che viene esportato invece risale al primo secolo avanti Cristo, con la grande espansione militare. Roma era nata per sinecismo, qui invece si sviluppa un modello fondativo. Si parte spesso con il legno e poi c'è una monumentalizzazione che inizia dall'epoca Augustea. Il dato fondamentale è che però si assomigliano tutte... Niente di simile al caos delle città medievali... I romani fanno un uso razionale degli spazi molto simile a quello dell'architettura moderna».
Erano molto moderni anche nei materiali. La pozzolana era un cemento utilizzabile sott'acqua che fa invidia ai giorni nostri. Però il sistema collassò. Come mai?
«C'è una frase di Sant'Ambrogio, scritta attorno al 387 circa, che ci segnala il momento del declino urbano, parla di semirutarum urbium cadavera, cadaveri di città semidistrutte... Anche un sistema avanzato può collassare, e questa è una lezione. Si parla tanto di Europa ma la città europea viene dall'Italia e da Roma. Questo modello che era anticipatorio del nostro sistema di comunicazioni, era fantastico. Ma richiedeva energia e manutenzione. Sotto la pressione migratoria crollò, la crisi del terzo secolo si delinea così. I romani dovettero misurarsi con una situazione che potrebbe verificarsi anche per noi. Spesso non guardiamo alla storia ma ci può fare da specchio sull'oggi».
Com'era il rapporto centro-periferia tra Roma e queste città?
«C'era un alto livello di autonomia. Ad esempio ad Oriente i romani furono bravi ad accettare l'esistente ed integrarlo. Urbanizzarono l'Occidente e conservarono l'Oriente, magari integrandolo con nuovi edifici.
Erano bravissimi a mantenere sotto controllo anche zone di crisi. Tant'è che alla fine l'Impero d'Oriente rimase in piedi anche col crollo dell'Occidente. Però sempre dichiarandosi romano. Anche questa è una bella lezione di cosa vuol dire integrare davvero».