Perché in fondo l'idea che i finali a sorpresa siano roba da gialletto di quarta mano è una fesseria bella e buona. Ci possono pure essere colpi di scena e intrecci stupefacenti in romanzi di peso e profondamente disturbanti come questo libro, scritto a tre riprese dall'autrice ungherese naturalizzata francese Agota Kristof tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta e pubblicato in Italia in un unico volume da Einaudi.
L'ambientazione è storica, quell'Ungheria mai nominata ma perfettamente riconoscibile che è diventata uno dei Paesi europei più martoriati del secolo scorso. I protagonisti sono i due gemelli Lucas e Klaus, cresciuti nella miseria dell'occupazione nazista e separati nel dopoguerra dai confini della Cortina di ferro. L'incastro delle storie, lo scrocco ben oliato dell'intreccio rendono il meccanismo narrativo perfetto e mirabolante. Esattamente il contrario dello stile, fortemente influenzato dal fatto che la Kristof scrive in un francese che non è la sua lingua madre e che conosce solo in maniera parziale. Quindi nessun aggettivo, nessuna riflessione, nessuna digressione: solo i fatti, gli episodi, i dialoghi severi dei due bambini che non ridono né piangono perché la vita è già abbastanza gonfia di dolori.
Impietoso
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