
Il chimico e biologo di origine indiana Venki Ramakrishnan ha vinto il Nobel per la chimica (nel 2009) per i suoi studi sui ribosomi. Naturalizzato britannico, ha lavorato per anni a Cambridge ed è stato presidente della Royal Society. È quasi naturale che un uomo che ha illuminato la struttura della vita si occupi anche del suo opposto, la morte, e che cerchi di capire che cosa la scienza ci dica del rapporto fra le due... È anche così che nasce Perché moriamo, un saggio denso, aggiornatissimo e affascinante che racconta "La nuova scienza dell'invecchiamento e la ricerca dell'immortalità" (in libreria da oggi per Adelphi, come il precedente La macchina del gene). Ramakrishnan lo presenterà in anteprima il 27 giugno a Lignano Sabbiadoro; il giorno successivo riceverà il Premio Hemingway 2025 per l'Avventura del pensiero.
Venki Ramakrishnan, perché ha deciso di scrivere un libro sulla scienza dell'invecchiamento?
"Siamo in un'epoca particolare, in cui le persone vivono più a lungo e i tassi di fertilità crollano; perciò, la fetta di persone anziane nella società è in rapido aumento. È molto importante che le persone siano in grado di rimanere in salute e autonome in tarda età il più a lungo possibile. Allo stesso tempo, la biologia ha compiuto progressi importanti nella comprensione delle cause dell'invecchiamento e, per la prima volta, potremmo essere in grado di contrastarlo. Infine, tutto ciò ha portato anche grande clamore e pseudoscienza... Perciò ho pensato che fosse utile un libro realistico sull'argomento".
Esiste una scienza dell'invecchiamento, ma c'è anche un'industria dell'immortalità: quale prevale?
"Direi che i fautori dell'immortalità siano una minoranza, al momento. La maggior parte delle persone che lavora nell'ambito della longevità è interessata a ottenere una buona salute in tarda età".
Quali sono le differenze principali fra la scienza e l'industria della longevità?
"Direi che l'industria è spesso il risultato dell'applicazione della scienza di base, e che le due non debbano essere fondamentalmente diverse".
Su che cosa si basa la scienza dell'invecchiamento?
"La maggior parte di quello che conosciamo sull'invecchiamento deriva dagli studi di biologia molecolare e cellulare e di genetica. Anche la chimica è parte della comprensione della biologia, perché alla base di tutta la biologia ci sono le molecole, le quali ovviamente seguono le regole della chimica".
Quali sono gli obiettivi dell'industria dell'immortalità?
"Come dicevo, la maggior parte dell'industria non riguarda l'immortalità bensì, piuttosto, la possibilità di vivere la maggior parte della nostra esistenza in buona salute. Qualcuno può anche aspirare a farci vivere più a lungo, ma è comunque assai lontano dall'immortalità...".
Lei scrive che la longevità è un business, con un valore di mercato complessivo di almeno trenta miliardi di dollari. Parla addirittura di "mercanti dell'immortalità".
"Sì. La longevità è un grosso business. Al momento esistono circa settecento aziende che se ne occupano, incluse le startup biotecnologiche, con investimenti che probabilmente sfiorano molte decine di miliardi di dollari".
Perché è un settore così fiorente?
"Dato che molte società si ritrovano con una popolazione che invecchia, il numero di potenziali clienti per qualsiasi cosa prometta di migliorare la salute degli anziani o di incrementare la longevità stessa è in rapida ascesa".
E come mai i miliardari, soprattutto quelli della Silicon Valley, sono così attratti da questo ambito, secondo lei?
"La maggior parte le direbbero che è per l'obiettivo di migliorare la salute umana. Ma sospetto che molti di loro siano degli uomini di mezza età piuttosto egocentrici, che non vogliono diventare vecchi e, forse, non vogliono nemmeno morire nel prossimo futuro".
Quali sono i campi di ricerca più importanti?
"Alcune aree molto promettenti sono, innanzitutto, i processi alla base della restrizione calorica; i fattori che differiscono fra il sangue giovane e quello vecchio; l'individuazione delle cellule senescenti, che si accumulano con l'età e causano infiammazione; la riprogrammazione delle cellule, in modo da riportarle a uno stadio precedente della loro storia. Un approccio diverso è l'utilizzo di integratori, che consentono al corpo di produrre importanti elementi biochimici che calano negli anziani".
La più promettente qual è?
"Credo la riprogrammazione delle cellule possa essere la più promettente ed eccitante fra queste aree di ricerca, ma anche la più impegnativa".
Tanti investimenti hanno raggiunto qualche risultato?
"Esistono già alcuni composti, per esempio quelli che imitano la restrizione calorica, oppure quelli che individuano le cellule senescenti. Alcuni di questi farmaci sono già in fase di sperimentazione clinica, o stanno per accedervi".
Che cosa può dire della crioconservazione e del congelamento del cervello, che sono fra le pratiche più estreme in questo ambito? Sono affidabili in qualche modo?
"Non c'è alcuna prova, per nessuna di queste pratiche. E non so quanto costino, ma di sicuro molto".
Ma questi farmaci o terapie anti invecchiamento comportano possibili rischi?
"Molti degli approcci attuali comportano anche degli effetti collaterali o dei rischi. Per esempio la rapamicina, che replica la restrizione calorica, è anche un farmaco immunosoppressivo, che quindi può aumentare la possibilità di infezioni. Comunque, la speranza è che, col tempo, riusciremo a trovare farmaci utili, che siano anche approvati a seguito di sperimentazioni cliniche appropriate".
Tanti investimenti avranno anche un effetto positivo?
"L'effetto positivo è che, alla fine, si potranno migliorare la salute e la qualità della vita di una popolazione sempre più anziana".
Ma la commistione fra scienziati e investimenti privati è in qualche modo pericolosa o ambigua?
"La maggior parte dei progressi in medicina è stata spinta proprio da investimenti privati; e servono degli scienziati per aiutare lo sviluppo di nuovi medicinali. Questo tipo di collaborazione è stata essenziale per gli avanzamenti della medicina nell'ultimo secolo".
Crede che la ricerca dell'immortalità sarà mai soddisfatta?
"La vera immortalità è sostanzialmente impossibile. E, anche se riuscissimo a estendere la durata delle nostre vite in maniera significativa, non sono sicuro che saremmo soddisfatti. In media viviamo molto più a lungo rispetto a 100-150 anni fa, eppure non siamo soddisfatti; perciò, se anche tutti iniziassimo a vivere fino a 150 anni, a quel punto ci chiederemmo perché non possiamo vivere fino a 300...".
Borges descrive gli immortali come dei selvaggi: uomini
senza più motivazione, gettati nell'apatia proprio dalla loro esistenza senza fine. L'immortalità è anche un rischio?"Sì. Credo che la finitudine delle nostre esistenze ci doni anche un senso di urgenza e di scopo".