
Non usciva ormai quasi più, ma era uno di quei giorni che Buenos Aires sembrava perdersi nel tempo e così si ritrovò seduto nel suo vecchio caffè. Sentì il passo di un uomo che si avvicinava con fare scettico e ascoltò la sua voce. "Ma lei è Borges?". Non ci volle molto per rispondere: "Qualche volta, si". Quale dei tanti, soprattutto.
Quale dei tanti Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo che si sono ritrovati a vagare nelle pieghe dell'universo è il burlone cieco che dubita della propria esistenza? La verità è che non importa.
Borges è un caleidoscopio che puoi affermare solo per frammenti. Lo guardi faccia a faccia e ti perdi in quello spicchio di umano che serve a riconoscerti. Quello che qui raccontiamo è il collaboratore occasionale che scrive sul quotidiano di Indro Montanelli. Sono gli anni che più o meno vanno dal 1979 al 1982.
Non ci sono scadenze e neppure ritmi regolari. Ci sono occasioni, come se avesse qualcosa da dire al pubblico italiano. È una lingua, l'italiano, che ama. Non l'ha mai studiata. È riuscito a decifrarla passo dopo passo come un pellegrino che si incammina per sentieri sconosciuti, leggendo l'Orlando Furioso e la Divina Commedia, prima appoggiandosi alla traduzione inglese e spagnola, poi senza corde, scalando a mani nude, affidandosi al suono, all'intuito, aggrappandosi alle radici del latino. Borges sul Giornale porta gli amici e i volti più cari del suo mondo senza fine. C'è tutto l'amore mai nascosto per le corbellerie fantastiche di messer Ariosto, l'ammirazione per Dante, di cui va a svelare gli angoli più teneri e timidi, lo spirito di fratellanza che lo lega alle avventure di Chisciotte e di Sancho, il debito che lo lega a Rafael Cansinos Assens. Borges non è l'arabesco che più di qualcuno tramanda.
Il vecchio cieco si racconta come un bracconiere di storie.
È per questo che ti invita, quasi confidandoti un segreto, a leggere il viaggio metafisico di Dante come un romanzo d'avventura o a riscoprire nelle storie di Saki, alias Hector Jugh Munro, la leggerezza e l'ironia vittoriana. Lo pseudonimo Saki deriva dalla parola Rubaiyyat, che in persiano significa coppiere. Il narratore è proprio questo, ti serve il vino e l'ambrosia per ubriacarti di eternità.