"A Milano si vince guardando al centro. Di Forza Italia bene la cultura liberale"

L'ex Terzo Polo Sergio Scalpelli: "A destra vedo Resta o Crolla, a sinistra Messa o Calabresi"

"A Milano si vince guardando al centro. Di Forza Italia bene la cultura liberale"
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Sergio Scalpelli, manager, ex comunista migliorista, poi tra i fondatori del «Foglio», assessore «intelligente» con Gabriele Albertini, è stato coordinatore di Italia Viva. E oggi?

«Globetrotter di un'opzione liberal-democratica e riformatrice che esiste e non trova rappresentanza adeguata. Ma ho grande attenzione per quello che accade dentro Fi e ho aderito alla costituzione del Circolo Matteotti, con riformisti del Pd e del fu Terzo polo. Non vedremo la deflagrazione del bipolarismo, anzi, ma spero che si rafforzi un corposo blocco centrale nei due schieramenti».

Il fu Terzo polo.

«Esperienza purtroppo naufragata, mise insieme l'8 per cento in tre settimane e se fosse rimasto unito, oggi sarebbe oltre il 10. Non è accaduto, inutile tornarci su. Ma si vince al centro o, come dimostra Giorgia Meloni, si deve surfare su una linea che sta fra l'Europa e gli Usa. Questo sono e vedo».

Vuol dare una mano a rafforzare Fi?

«Non voglio fare esperienze militanti, è tempo di gente che va dai 25 ai 50 anni, ma seguo con interesse i segnali che arrivano forti da Milano, con Sorte e il resto del gruppo dirigente che parla anche a un elettorato - ex Terzo polo - che, nel momento peggiore, le Europee, a Milano è arrivato al 13 per cento, punti decisivi. Vedo che tra i giovani viene eletto un segretario di 24 anni che fa un intervento di purissima cultura liberale e mi piace pensare che sia stato legittimato da Tajani e altri dirigenti».

Le Comunali a Milano?

«Di Majorino stimo la professionalità politica, ma siamo lontanissimi. Se dovessero fare le primarie, probabilmente le vincerebbe. Ma contrariamente ad altri, secondo i quali la città si è radicalizzata, io continuo a pensare che le elezioni si vincano al centro. Il mio amico Maurizio Lupi, leader politico di lungo corso, sarebbe un bravissimo sindaco. Ma rischierebbe contro un candidato capace di allargare».

Quindi?

«Conterà molto quell'elettorato centrale e come i candidati saranno capaci di riportare alcune decine di migliaia di milanesi a votare. Sarebbe bello se si riproponesse una sfida come quella tra Sala e Parisi. O tra Albertini e Fumagalli. Nomi? Resta o Crolla. E, dall'altra parte, Messa e lo stesso Calabresi».

Stimava Parisi, ma alla fine votò Sala. Pentito?

«Parisi sarebbe stato un grande sindaco, in continuità col miglior Albertini e con le capacità politiche di Tognoli. Fu una scelta politica. Era la vigilia del referendum costituzionale, a sinistra c'era già la guerriglia per abbattere Renzi e mi pareva importante che un centrosinistra a trazione riformista non perdesse Milano. Ho detto anche a Parisi che la mia scelta fu giusta in quel momento, ma sul medio termine avevo torto».

E Beppe Sala?

«Nell'insieme bene il primo mandato. La forza di Milano negli ultimi trent'anni è stata la continuità tra giunte diverse, sulle grandi scelte urbanistiche e infrastrutturali. È il miracolo Milano. Expo, grande intuizione della Moratti, fu difeso con grande serietà da Sala che nel secondo mandato, come spesso succede, ha pensato troppo al dopo».

Miracolo Milano finito?

«Non credo. Però peseranno tre questioni sulle altre: costo della vita, casa e sicurezza».

I referendum?

«Se decidessi di andare a votare, ritirerei solo la scheda sulla cittadinanza. I quesiti sul lavoro sono del tutto farlocchi, propaganda dell'asse Landini-Schlein, la cosa che farebbe più male al Paese».

La piazza anti-Israele?

«Sarà grande, popolata da sostenitori di Khamenei, in parte inconsapevoli. Free Palestine è parola d'ordine di Hamas, dal Fiume al mare significa distruzione di Israele. Poi si è cancellato il 7 ottobre, il più violento pogrom dal '45. Certo, c'è la tragedia dei civili, ma non si tiene conto della verità dei fatti».

L'evento di Milano?

«Persone perbene, ma lo slogan Due popoli due Stati era forte e credibile dopo Oslo,

poi quando Barak era disposto a concessioni enormi e, infine, col ritiro da Gaza. Ora è clamorosamente inattuale. Almeno al Teatro Parenti hanno il pregio di capire che l'antisemitismo è dilagante. Ma io sto con Israele».

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