La delibera sulle unioni civili assomiglia a una scatola furbescamente lasciata vuota. E l'unico vero dubbio, oggi, sembra proprio questo: sarà riempita di contenuti (e quali?) o finirà per impolverarsi nei cassetti del Comune? Nel primo caso potrebbe rivelarsi una beffa per le famiglie. Nella seconda ipotesi resterà solo una bandierina ideologica che sventola invano su Palazzo Marino per accontentare le sottili ma potenti schiere dei radical chic - in attesa di una legge vera.
La delibera, oggi, cita vagamente la casa, i servizi comunali, le tasse. L'operazione è chiara: si allude a un «allargamento dei diritti», si strizza l'occhio ai benefici, si lascia intravedere la possibilità di una qualche forma di aiuto o sussidio. Ma quel che passa in cavalleria come sempre, ciò di cui non si parla mai, sono i doveri. D'altra parte la natura del registro è programmaticamente questa: offrire garanzie a chi, per sua stessa ammissione, non intende accollarsi gli impegni del matrimonio, civile o no. E sempre ammesso che di queste fantomatiche «garanzie», oggi ci sia realmente bisogno. La stagione dei diritti senza doveri, infatti, sembra già ampiamente iniziata.
Il registro delle unioni civili, lo dicono i numeri, normalmente fallisce. Nei Comuni che l'hanno introdotto le coppie iscritte si fermano a una manciata. In qualche caso il mitico elenco è rimasto vuoto o è stato chiuso per disperazione. Sono i potenziali beneficiari che non ne avvertono il bisogno. E forse è perché già oggi godono di tutti (o quasi) i diritti che spettano ai coniugi. E, dice qualcuno, hanno anche dei piccoli vantaggi.
Le coppie di fatto oggi sono già riconosciute dall'ordinamento mediante la giurisprudenza costituzionale, e da questa inquadrate nell'articolo 2 della Costituzione. Chi azzarda che i veri discriminati oggi siano marito e moglie avanza questioni del genere: perché mai i redditi dei coniugi si sommano ai fini fiscali e la stessa cosa non accade per i conviventi di fatto? Perché i conviventi con identico domicilio e diversa residenza godono dell'invidiabile privilegio di poter avere «due prime case», con tutto ciò che significa ai fini della tassazione sulla casa e delle bollette? E altre ce ne sono: i coniugi oggi aspettano (troppo) anni e anni la separazione e poi il divorzio. Che tipo di vincolo reciproco - e che tipo di garanzia per la parte debole - esiste oggi per i conviventi? Sono previsti alimenti per il mantenimento? Esiste la previsione di un «abbandono del tetto coniugale»? Esiste una previsione formale che riguardi la collaborazione nell'educazione dei figli?
Insomma, sembra proprio che se c'è qualcuno che deve invidiare qualcosa sono le famiglie (le stesse che si sono sobbarcate quasi da sole il peso di una recessione senza precedenti). Resta fuori, è vero, il tema dell'assistenza ospedaliera, vale a dire i casi di medici che lasciano fuori dalla porta il convivente. Ci sarebbe da verificare la loro entità numerica.
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