«Ci stanno delegittimando, noi agenti non siamo nazisti»

Il neosegretario del sindacato Sap: «Rischi quotidiani Ma passa il messaggio che picchiare divise non è reato»

Paola Fucilieri

Aguzzini, carnefici, carcerieri. I poliziotti sono considerati così pericolosi che la proposta di legge per i reati che li riguardano voluta dal Pd, oltre alla tortura tout court, in un primo tempo comprendeva anche la tortura psicologica. «A quel punto anche rimanere in questura dodici ore senza mangiare diventa tortura. Il problema è che stanno delegittimando le divise: fanno le marce per i migranti, vorremmo tanto vedere una marcia i poliziotti».

Massimiliano Pirola, 52enne sovrintendente capo della polizia di stato nella quale è entrato 32 anni fa e da due settimane segretario provinciale del Sap (Sindacato autonomo di polizia) di Milano, ha lavorato sempre in strada: alle «Volanti», alla Polmetro, alla squadra mobile e non va dimenticato che nel 2002 sventò un attacco terroristico in metropolitana che gli valse l'Ambrogino d'oro. In questi giorni ha fatto visita spesso a Dario, l'agente scelto di 30 anni, ferito insieme a due militari dell'esercito in stazione Centrale giovedì sera da Tommaso Ismael Hosni, il ventenne ora accusato di terrorismo internazionale, tentato omicidio e resistenza.

Cosa ha messo in evidenza questo attentato su quella che è la vostra attività sul territorio?

«Ormai ogni controllo di polizia è rischioso. E troppo spesso passa il messaggio che picchiare una divisa non è reato. Anche se si scoprisse che quello di giovedì scorso non è stato un vero e proprio attentato terroristico, ma piuttosto una reazione di rabbia portata all'estremo, va fatto notare che Hosni - con il cappuccio, le mani in tasca e il passo veloce - ha voluto attirare l'attenzione della pattuglia mista polizia-esercito. Quindi ricordiamoci anche di quel senegalese che, sempre in Centrale, il 21 aprile scorso ha aggredito un militare».

Lei ha spiegato che lo spray al peperoncino in dotazione alla Polfer e ai commissariati è scaduto da tre mesi e non è ancora stato sostituito, quindi i poliziotti non lo possono utilizzare. Ma non manca solo lo spray...

«Naturalmente no. Dobbiamo avere degli strumenti idonei che ci consentano di bloccare un individuo e al tempo stesso di difenderci senza ricorrere all'uso delle armi. Dovremmo essere tutti dotati del sotto camicia dal Dipartimento che invece differenzia la fornitura da un ufficio all'altro. Anche gli occhiali anti sputo sono utilissimi, soprattutto per gli operatori delle Volanti: se veniamo a contato con un malato di Aids, infatti, siamo costretti ogni volta a sottoporci a una trafila di controlli. Tuttavia anche lo spray non funziona: il getto nebulizza poco e lo spruzzo ci torna indietro danneggiandoci, inoltre la percentuale di sostanza attiva è pochissima»

Ci son alternative allo spray?

«Al suo posto si potrebbe utilizzare il getto balistico o a schiuma che indirizza lo spruzzo sulla persona e non torna indietro. Lo sfollagente lo escludo, perché ci obbliga ad avvicinare troppo il soggetto. E il taser è troppo pericoloso: se c'è un effetto collaterale legato all'utilizzo siamo noi che paghiamo i danni».

E le telecamere sulle divise?

«Utilissime. Il terzo turno delle Volanti le sta sperimentando da un anno. Ci permettono di essere trasparenti. Non si tratta solo di evitare che la nostra parola valga meno di quella di un balordo, ma anche di eliminare, se esistono, le mele marce tra di noi».

Le critiche al blitz del 2 maggio in stazione Centrale che effetto le fanno?

«Un politico cittadino l'ha definito una deportazione nazifascista. Non siamo fascisti.

Tutti dovrebbero leggere quanto scrisse Indro Montanelli in Poliziotto allo specchio e cioè: La cosiddetta società vi dà il compito di mettere le mani nelle fogne, ma non permette che ve le sporchiate. Vorremmo sapere che la gente ci è vicina, che ci lascia liberi di lavorare».

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