Il pendolo di Palazzo Marino torna a oscillare verso la grande moschea: «Non la escludiamo» ha detto ieri il vicesindaco, Maria Grazia Guida, conversando a Radio Popolare con il direttore della Casa della cultura islamica di via Padova, Mahmoud Asfa. La grande moschea, d'altra parte, era l'obiettivo elettorale della sinistra, accantonato quando - vinte le elezioni - Giuliano Pisapia e i suoi si sono resi conto delle difficoltà, e di un mondo musulmano più articolato e diviso di quel che potesse pensare l'allora candidato della sinistra.
Oggi la via ufficiale seguita da Palazzo Marino è un'altra. E prevede la messa a norma e la regolarizzazione delle attuali sedi, spesso inadeguate o abusive. Formalmente, per giustificare questa linea, la Guida può trincerarsi dietro una versione ufficiale che i centri islamici confermano: sulla «grande moschea» - dice - «non abbiamo avuto richieste né proposte dalle comunità». Oggi si lavora dunque all'obiettivo minimo. Il direttore di viale Jenner, Abdel Shaari lo sintetizza così: «Chi ha una sede e vuole metterla a posto, deve poterlo fare. Chi non una sede, deve poterla costruire». Comune e associazioni ripetono che non ci saranno oneri finanziari pubblici. «Chiederemo un referendum e manderemo alla Corte dei conti tutti gli atti che daranno soldi, aree, cascine e comunque risorse ai musulmani» annuncia l'ex vicesindaco Riccardo De Corato (Pdl). Nel lungo periodo, forse per giunta e musulmani, resta l'obiettivo grande-moschea. Ma ci sarà prima da capire chi potrà gestirla, fra i tanti centri, divisi e distinti. Di «una soluzione alla Svizzera, con rotazione», parla Shaari. Ma l'impegno economico si calcolerà in milioni, e per questo l'architetto libico evoca il coinvolgimento dei Paesi arabi. Sull'obiettivo, però, non si discute. Shaari oggi per cautela non parla più di «un Duomo e tante parrocchie», ma il problema è anche simbolico. Asfa ripete: «Siamo 120mila, ne abbiamo il diritto. Non è necessario che ci sia un minareto».
Anche il coordinatore delle associazioni islamiche, Davide Piccardo, non ne fa una condicio sine qua non. «Esistono esempi che richiamano gli elementi architettonici religiosi ma si inseriscono nel contesto urbanistico esistente». «La città della moda, del calcio e dell'Expo non può non avere una moschea - aggiunge Asfa - oggi quando ci chiedono: dov'è la moschea di Milano ? Noi dobbiamo portarli in un capannone e questo non va bene. A Milano per Expo arriveranno imprenditori importanti e tanti visitatori». Su questo stanno già lavorando Comune e tecnici: «In vista di Expo - ha detto ieri Guida - c'è la proposta di uno spazio di preghiera e silenzio su cui sta lavorando la società», che conferma: «Non sappiamo dove sarà questo luogo, se dentro il sito espositivo o fuori. Si tratterà di un luogo di preghiera interreligioso». Il problema del giorno, intanto, è il Ramadan.
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