Alberto Giannoni
Gianmarco Senna, capolista milanese alle Regionali, presidente della commissione Attività produttive, parliamo di Lega e Milano.
«La Lega ha già governato Milano, Formentini viene spesso dimenticato ma la città usciva da un periodo drammatico e fu quello della differenziata, del Piccolo, della grande area pedonale. Poi con Albertini e Moratti abbiamo ripensato la città, è venuto Expo, e la sinistra era quella del no. Ora fanno i tagliatori di nastri».
La Lega governerebbe bene Milano? Questo è il punto.
«La Lega ha governato bene, perciò ricordo questa storia. Questo è dimostrato. Oggi governa bene la Regione. Milano ha le caratteristiche delle grandi città europee e la stessa dinamica fra metropoli e provincia. Anche noi dobbiamo pensare a un approccio diverso. E ci sono mondi con cui adesso si fa fatica a dialogare».
La Lega ha gli uomini e le donne giuste per farlo?
«Ora come non mai. Io alle Europee ho appoggiato Silvia Sardone. La Lega non è più il partito del 6% ma del 30, deve guardare oltre il suo perimetro storico. Le sezioni sono importanti ma non più sufficienti. Si tratta di aprire e ampliare le relazioni con professionisti e altri mondi legati a settori produttivi, la Milano che produce e lavora, non quella delle rendite delle posizione. E non è vero che quel che accade in centro non ci riguarda. Abbiamo forse sbagliato anche noi nel linguaggio».
La Lega finora ha puntato molto sulla protesta...
«Allora, noi ereditiamo una città che non sta pensando al futuro, ma dobbiamo tener conto della peculiarità di Milano, città dei 400mila single, dei 250mila immigrati. Una realtà complessa. Dovremo dialogare anche con questi mondi».
Sì anche alla moschea?
«Nelle condizioni attuali no. Infatti neanche la sinistra l'ha fatta. Gli interlocutori non erano certo il mondo col quale si può dialogare. Deve esserci il riconoscimento di Israele, e garanzie su donna, libertà religiosa e soldi esteri. Se mancano i fondamentali no. Io dico, in linea di principio, dialogare con tutte le realtà che stanno nelle regole, nel pieno rispetto della cultura che ospita».
Imprese e università però vogliono l'euro e l'Europa.
«Milano è fisicamente e strutturalmente in Europa. Ma come il resto del Paese vuole uscire da una condizione di regole inutili e austerità che ci hanno ingessati. Questo tipo di Europa ha fallito».
Come chiamerebbe la Milano che lei ha in testa?
«Una nuova Milano, dove la attuale periferia sia un grande centro. Non è pensabile che ci siano delle casbah a sette fermate di metrò dal Duomo».
Non salva niente di Sala?
«Nessuna pregiudiziale ma per quanto mi sforzi non vedo niente. I Navigli? Hanno fatto qualcosa? Soprattutto non c'è una visione. Bisogna ragionare su una città moderna e internazionale. L'attuale gestione è inadeguata per il futuro».
L'alternativa parte da un'alleanza di centrodestra?
«Non ragionerei sull'alleanza ma sullo spazio di centrodestra. Se hai un partito dello 0,4 non ti serve se è dell'8 sì, allora ci devi ragionare».
La Lega basta a sé stessa?
«Vedo un partito nazionale che deve coprire tutte le sensibilità. Poi ognuno fa il suo».
Autonomia, infrastrutture?
«Fondamentali. L'autonomia fa bene al Paese e alla Lombardia. Infrastrutture, certo. Noi siamo il partito del sì».
Il candidato? Politico o no?
«Ora è importante una comunità di intenti per coinvolgere più mondi. Poi può anche non essere un politico certo, non mi interessa in sé ma la città da pensare insieme. Farla uscire da questa non prospettiva».
Quale vede lei? Le priorità?
«Collegamenti col primo hinterland, sharing e metropolitane, regole sul traffico sì: e si può anche far parcheggiare chi arriva da fuori col Suv, ma servono infrastrutture e
occorre tutelare la libertà di chi torna a casa e chi lavora. Poi nuove tecnologie, rapporti con le università: dobbiamo tenere qui nostri ragazzi migliori, politiche per gli alloggi delle famiglie. Una Milano del 2030».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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