L a giustizia greca ha negato la loro estradizione, sostenendo che nel diritto ellenico le responsabilità penali sono individuali, e non si può essere puniti solo per essere stati presente in una manifestazione. Giustissimo. Peccato che i cinque anarchici venuti da Atene a partecipare alla demolizione di Milano il Primo Maggio 2015 non ci fosse solo una generica presenza nel corteo antagonista contro l'inaugurazione di Expo, ma una lunga sequenza di reati commessi personalmente da loro, riconosciuti uno per uno e momento per momento. E che ora vengono contestati loro - in contumacia, al riparo in patria - nel provvedimento che chiude le indagini e prelude al loro rinvio a giudizio.
È un documento interessante, quello notificato - anche nella versione tradotta in greco - dal pm Piero Basilone ai cinque estremisti attraverso il loro legale Eugenio Losco: perché ricostruisce non solo il ruolo di ciascuno di loro, ma l'intera dinamica della giornata che trasformò Milano in un campo di battaglia, e comprende anche l'elenco definitivo e scrupoloso dei danni inferti dai black block a negozi, palazzi, automobili e quant'altro trovassero sul loro cammino. L'elenco trasuda insensatezza, perché racconta come insieme ai simboli del potere e del lusso borghese venissero colpite le proprietà di gente semplice: bruciando le Audi e le Lexus ma anche le 500 e le Skoda Fabia, devastando sia le agenzie bancarie che le pasticcerie e i parrucchieri. Una furia demolitrice che poté dispiegarsi indisturbata fino a quando il corteo non decise di sciogliersi in via Pagano, non senza avere pestato a sangue un funzionario di polizia.
Trecento partecipanti, cento individuati e denunciati, alla fine i condannati sono stati una manciata: una selezione operata dalla Procura proprio per non essere accusata di colpire a casaccio. Ultimi dell'elenco, i cinque greci, globe trotters del vandalismo politico: Odysseas Chatzineofyton, Kostantinos Gkoumas, Alexandros Kouros. Mikolaos Ktenas e Vasileos Thanopoulos, tutti tra i ventidue e i ventisei anni. Oltre che di resistenza aggravata a pubblico ufficiale, sono tutti accusati di devastazione e saccheggio, perché «in concorso con almeno altri trecento soggetti, tutti travisati con maschere antigas, passamontagna, caschi da motociclista, armati di bastoni, sassi, bottiglie, bottiglie molotov, dopo essersi compattati tra loro in modo da formare un unico blocco nero, commettevano atti di devastazione consistiti in plurimi, indiscriminati e gravissimi atti di danneggiamento e incendio». In particolare, «utilizzavano l'arredo urbano, soprattutto cassonetti dell'immondizia e fioriere, appiccandovi anche il fuoco, per realizzare barricate e ostacolare gli interventi delle forze dell'ordine finalizzati al ripristino dell'ordine pubblico».
Erano tutti mascherati, con passamontagna neri o maschere bianche, i cinque giovani greci. Ma le indagini di Digos e carabinieri sono arrivate, secondo la Procura, ad individuarli con precisione, attribuendo a ciascuno ruoli precisi nella devastazione. Il più attivo di tutti per il pm è Kouros, che si muove all'interno del «blocco nero» con passamontagna e maschera da sci trasparente.
È lui in piazza Resistenza Partigiana a staccarsi tra i primi dal corteo e a iniziare i lanci di oggetti contro i reparti della Celere; sempre lui in via Terraggio, mentre il grosso del corteo bloccava le vie d'accesso e le devastava, «attaccava i reparti delle forze dell'ordine», «in particolare si rendeva responsabile per primo del lancio di un fumogeno acceso, al quale seguiva un fitto lancio di oggetti da parte di numerosi soggetti, molti dei quali armati di bastone».
E così: Ktenas immortalato mentre ribalta un auto in via Leopardi, Chatzineofyton mentre distrugge quattro auto in via Boccaccio, Gkoumas mentre in corso Magenta attacca i carabinieri.La Grecia li protegge: ma la prima volta che proveranno a attraversare una frontiere, verranno fermati.
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