Moschea di Sesto San Giovanni, il caso è ancora aperto. Se ne parla almeno da tre anni, e ancora non si sa come andrà a finire la storia del centro islamico più grande del Nord-Italia, che è stato stoppato dal Comune e continua a animare i sogni dei musulmani. Il sindaco Roberto Di Stefano, ha le idee chiare. E insieme alla giunta intende non solo risolvere la questione del mega-progetto di via Luini, ribattezzato «La Mecca», ma anche intervenire sul centro «provvisorio» che attualmente ospita le preghiere della comunità locale.
La vicenda è nata proprio al tempo della campagna elettorale delle Comunali 2017, quando Di Stefano, allora vicepresidente uscente del Consiglio comunale e candidato sindaco del centrodestra, aveva preso l'impegno - se eletto - di fermare il progetto. Non aveva accampato ragioni ideologiche allora, Di Stefano. Non era ovviamente la limitazione della libertà di culto il suo obiettivo. Al centro della sua posizione poneva una valutazione tecnico-urbanistica sul progetto, considerato sovradimensionato per la sua cittadina, e anche corposi dubbi sui finanziamenti del centro islamico locale. Dubbi poi rivelatisi fondati. Di Stefano aveva sollevato in particolare il caso della «Qatar Charity Foundation», ente «benefico» qatariota per più versi associato all'islam politico e all'integralismo. Il presidente del Centro Gueddouda Boubakeur aveva smentito l'esistenza di finanziamenti qatarioti, ma le rivelazioni contenute in un recente libro-inchiesta uscito in Francia, «Qatar Papers», hanno avvalorato i dubbi di Di Stefano.
Lui, nel frattempo, è diventato sindaco, e nei primi mesi del suo mandato ha dato seguito alla promessa di bloccare il mega-progetto. Poco più di un anno fa, il Tar ha dato ragione al centro islamico, ma senza che ciò facesse cambiare idea al sindaco: «Fin da ora - ha commentato allora - dico a chiare lettere che con me sindaco la moschea non verrà mai realizzata». Intanto il Comune ha segnato un punto a suo favore col mancato inizio dei lavori e la maturata scadenza del termine previsto. Si è determinata, insomma, una decadenza. E anche nel caso di una nuova richiesta sarebbe ostativa la nuova legge regionale, del 2015, che ora per i luoghi di culto richiede una destinazione urbanistica coerente, che a Sesto non c'è. «La nostra revoca era in autotutela - spiega Di Stefano - decisa quando abbiamo verificato la mancanza di requisiti fondamentali, fra i quali anche la messa a bando dell'area. Le sentenze in ogni caso non potranno mutare la situazione che si è creata, perché il permesso di costruire è scaduto. E anche se dovessero ripresentarlo, il Comune non può autorizzarlo perché l'area non ha destinazione d'uso a luogo di culto». E l'assessore Antonio Lamiranda sottolinea: «L'applicazione rigorosa della legge, nel caso specifico quella urbanistica, è il nostro mantra senza sconti o deroghe per nessuno come invece avvenuto in passato ad opera della sinistra».
Il Comune adesso sta definendo l'avvio del procedimento amministrativo per la rimozione della struttura provvisoria (atto che considera dovuto dopo il mancato completamento dei quella definitiva). E ora sarà coinvolta la prefettura. «Io - aggiunge il sindaco - devo concludere l'iter che prevede la rimozione della struttura».
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