Coronavirus

Il Pd cambia ancora idea sull'ospedale in Fiera e vuole che resti aperto

Dall'inizio 420 pazienti in terapia intensiva. Per la sinistra che lo contestava è necessario

Il Pd cambia ancora idea sull'ospedale in Fiera e vuole che resti aperto

Ora vogliono tenere aperto l'ospedale in Fiera. Lo stesso che contestavano, chiamandolo fra l'altro «cattedrale nel deserto» e definendolo «non funzionale».

Il Pd fa una nuova inversione sul centro Covid di Milano. E non è la prima. Perché, anche se non tutti lo ricordano, a marzo il partito non si era mostrato contrario al nuovo hub di la terapia intensiva. Erano quelli giorni letteralmente drammatici, e su Milano aleggiavano prospettive funeste. Fu in quel contesto che la Regione decise di realizzare, con Fondazione Fiera, un nuovo padiglione anti-Covid in città. Il governatore Attilio Fontana ha rivelato che la convinzione definitiva maturò in lui dopo l'incontro con un medico affranto per aver dovuto compiere una tragica scelta fra due pazienti da salvare.

L'urgenza era tale che - grazie al contributo dei privati e senza un solo euro di spesa pubblica - in soli 10 giorni fu realizzata una struttura di tali dimensioni e complessità che, normalmente, richiedono anni. E la sinistra, allora al governo con i 5 Stelle, cercò di «mettere il cappello» sull'opera. Era il 18 marzo quando il Pd dette «una notizia molto importante» attribuita al suo ministro Francesco Boccia: l'ospedale in Fiera - annunciò - sarebbe entrato a far parte della rete nazionale di emergenza, «dimensionato secondo criteri di efficienza e sostenibilità». Tre giorni dopo, l'eurodeputato democratico Piefrancesco Majorino si augurava che non ci fosse «altro tempo da aspettare per l'ospedale in Fiera». Quindi, il Pd incalzava per farlo quel centro, quando i posti letto erano tutti drammaticamente occupati.

Poi improvvisamente il dietrofront. Il centro aprì il 31 marzo. E ad aprile il lockdown serratissimo cominciava a dare frutti: l'urgenza di un'attivazione si allentò. L'ospedale in Fiera in quella fase rimase poco utilizzato, e il Pd cominciò a cambiare «narrazione». L'impresa che a marzo voleva ascrivere come merito al suo ministro, divenne oggetto di bordate. Divenne, «il fiore all'occhiello della mancanza di strategia della Regione». Anche la consigliera regionale Carmela Rozza, che pure ha mostrato in passato di sapersi anche distinguere nel partito, su questo si è allineata al «coro giallo-rosso», e ne ha parlato come di una «cattedrale nel deserto», «pericolosa» perché priva di sala operatoria. «La Regione a tentato di fare marketing, non assistenza e cura ai lombardi» ha detto addirittura a «Presa diretta».

Nella seconda ondata, però, l'hub è stato decisivo. Ora si sa che nel padiglione Fiera, oltre a 5mila vaccinazioni al giorno dichiarate, si stanno curando ancora 58 persone. Sono state 420 da inizio pandemia. E a febbraio, quando Rozza parlava di «cattedrale nel deserto», l'hub curava già oltre 50 pazienti sui 380 lombardi.

I numeri sono saliti ancora, e poi di nuovo scesi. E adesso nei piani della Regione c'è una sorta di «de-escalation: la prospettiva di una graduale disattivazione programmata per quando i ricoveri in tutta la Regione scenderanno sotto la soglia di 200.

Ma ora il Pd lo vuole tenere aperto, quel centro: «Se l'orizzonte è il ritorno all'attività tradizionale - ha detto Rozza al Corriere - perché viene chiusa la Fiera? L'ipotesi più razionale sarebbe quella contraria, cioè tenere aperto quell'ospedale in modo tale che gli altri tornino puliti».

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