Dilaga l’odio in Rete, le piattaforme lo trascurano

Le conseguenze di alcune incaute dichiarazioni propagandistiche possono riverberarsi sulla tenuta sociale e sulla stabilità delle stesse istituzioni democratiche

Dilaga l’odio in Rete, le piattaforme lo trascurano

L’Unione europea, per contrastare l’odio in Rete, ha scelto da tempo lo strumento dei codici di condotta, sensibilizzando le piattaforme ad intervenire per rimuovere contenuti offensivi. Tuttavia, gli esiti di questa battaglia appaiono incerti, sia per la moltiplicazione del traffico on-line, sia per il deterioramento delle relazioni umane durante il Covid, sia per la difficoltà di disintossicare l’ambiente virtuale.

La strategia della Commissione Ue

Nel 2016, a causa della crescente tendenza della diffusione dei discorsi d’odio sui social, la Commissione europea ha pubblicato un codice di condotta rivolto alle grandi multinazionali del web, nel tentativo di contenere questo preoccupante fenomeno sociale. Tuttavia, la situazione rimane complessa e problematica. Infatti, nel settimo Rapporto sui discorsi d’odio, la Commissione Ue ha sottolineato l’importanza cruciale del rispetto dei diritti delle minoranze, contro ogni discriminazione e intimidazione, e ha “bacchettato” alcune piattaforme come Twitter, che spesso hanno dimostrato di voltarsi dall’altra parte di fronte a denunce di messaggi d’odio, non rimossi tempestivamente e dunque in grado di ristagnare nell’aria sempre più contaminata delle piattaforme on-line. In media è stato rimosso il 69,6% dei contenuti che incitano alla violenza contro gruppi specifici, mentre i messaggi contenenti parole o immagini diffamatorie sono stati rimossi nel 59,3% dei casi. Twitter è il social media peggiore di tutti: solo il 49,8% delle segnalazioni viene gestito in 24 ore e solo il 45,4% dei contenuti viene rimosso.

I casi Segre e Meloni

La senatrice a vita Liliana Segre ha denunciato gli haters che le avevano rivolto accuse infamanti, minacce violentissime e perfino auguri di morte, trincerandosi dietro l’anonimato che i social sono in grado di garantire alle persone vili e agli sciacalli del web. Anche Giorgia Meloni è stata minacciata di morte insieme a sua figlia da anonimi odiatori in Rete per aver messo mano al reddito di cittadinanza. In questi e altri episodi la polizia postale è intervenuta tempestivamente e ha individuato i colpevoli, ma il problema è che queste situazioni ormai dilagano perché la libertà d’espressione nel web e sui social viene sempre più spesso interpretata come libertà di sfogo delle proprie pulsioni, anche di quelle più volente.

Fondamentale punire i provocatori

Oltre agli autori delle offese in Rete ci sono i provocatori, coloro che avvelenano i pozzi, cavalcano le proteste in maniera populista per ricavarne un tornaconto, spesso un tornaconto elettorale. Sono personaggi pubblici che amano fomentare, mascherando le loro esternazioni da sacrosanto esercizio del diritto di critica, peraltro connesso alle loro funzioni istituzionali. Ma questo non può diventare un alibi perché le conseguenze di quelle incaute dichiarazioni propagandistiche possono riverberarsi sulla tenuta sociale e sulla stabilità delle stesse istituzioni democratiche.

Sarebbe opportuno responsabilizzare maggiormente chi ha ruoli importanti e gode di una grande visibilità affinchè sia più misurato nel linguaggio e nei toni. Quando si parla di autodisciplina sui social bisognerebbe prendere in considerazione anche questo tipo di comportamenti e di responsabilità.

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